Dal TFF35 la recensione in anteprima di Seven Sisters / What Happened to Monday? di Tommy Wirkola, in uscita nelle sale italiane dal 30 novembre.

Anno 2073. In un futuro post-apocalittico non troppo lontano, l’incubo di un mondo minacciato dalla più terribile delle profezie malthusiane si è avverato: l’insostenibilità del sovrappopolamento globale ha costretto i governi a mettere in atto la drastica politica del Figlio Unico, che impone l’ibernazione dei figli in eccesso finché non saranno risolti i problemi del pianeta. Quando una donna muore durante il parto di sette gemelle, il nonno decide però di salvarle tutte aggirando i controlli del Child Allocation Bureau, diretto dalla dottoressa Nicolette Cayman. Ognuna di loro si chiamerà come un giorno della settimana e in quello stesso giorno potrà uscire di casa, a patto di assumere l’identità di un’unica persona: la professionale Karen Settman. Nascoste per sei giorni a settimana nella prigione del loro appartamento, camuffate nelle ore concesse all’esterno, le sorelle si dividono la vita in parti uguali fino all’età adulta per garantire la continuità delle altre. Almeno fino a quando la primogenita, Lunedì, non scompare nel nulla. Toccherà alle gemelle rimaste ingaggiare una pericolosa indagine, destinata a rivelare le oscure macchinazioni che il nuovo supergoverno mondiale ha concepito per garantire la sopravvivenza dell’umanità.

 

 

In un secolo e mezzo di vita, la fantascienza ci ha regalato innumerevoli visioni del futuro: scenari più o meno possibili, mondi agli antipodi, elementi ricorrenti. La guerra è una costante come l’impoverimento delle risorse naturali, il dominio sfrontato del potere e della tecnologia, un’omologazione culturale resa necessaria dallo sviluppo parassitario della razza umana. Il fanta-thriller prodotto da Netflix What Happened to Monday? / Seven Sisters del regista norvegese Tommy Wirkola (Dead Snow, Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe) si inserisce nel filone sfruttandone uno dei temi ricorrenti: quel timore della “bomba demografica” dispensatrice di catastrofi ecologiche teorizzata da Malthus nel 1798, già presente con ben altro spessore in sci-fi anni ’70 come 2022: I sopravvissuti, La fuga di Logan e Un mondo maledetto fatto di bambole. Malgrado offra interessanti spunti di riflessione sulle questioni universali più urgenti (cosa siamo disposti a sopportare pur di sopravvivere? è meglio vivere anche solo un secondo piuttosto che non vivere affatto?), lo script di Max Botkin e Kerry Williamson immagina infatti un mondo orwelliano, crudo e oppressivo, che guarda all’indietro anziché in avanti. Non solo perché, in ritardo sulla Storia, indica nella rigida politica del figlio unico adottata in Cina (e già abolita) la panacea di tutti i mali, ma perché ambienta il dramma delle sorelle Settman in una metropoli claustrofobica fin troppo omologata alle attuali, dove la tecnologia sembra non essere progredita affatto (plausibile invece la combinazione fra grattacieli modernissimi e fatiscenti palazzoni alveare).

 

 

Sarà per rimediare ai goffi rimaneggiamenti di una sceneggiatura dalla gestazione complicata (l’idea originaria, entrata nella blacklist hollywoodiana, fu concepita nel 2001) che l’astuto Wirkola punta tutto sulla performance multipla dell’istrionica Noomi Rapace (Uomini che odiano le donne, Prometheus), davvero impeccabile nello scivolare dentro e fuori sette ruoli con look e pettinature differenti. La forzatura caricaturale delle personalità delle sorelle Settman – Lunedì ambiziosa, Martedì hippy, Mercoledì atletica, Giovedì ribelle, Venerdì nerd, Sabato sensuale, Domenica devota – non le facilita il compito, ma l’attrice svedese dimostra coraggio e disciplina nel raccogliere una sfida da cui molti si sarebbero tenuti lontani. A suo agio più negli spettacolari corpo a corpo delle sequenze d’azione (certosino il lavoro delle controfigure) che nel districarsi fra le trame di un complotto fantapolitico sempre più ingarbugliato fino al più scontato degli epiloghi, Rapace disegna con destrezza l’unicità di ciascuna gemella entro l’arco breve del film. Non si può dire altrettanto per Willem Dafoe e Glenn Close, piuttosto sbiaditi nei panni di nonno Settman e della spietata Cayman, anche se la loro presenza è volutamente lasciata a margine dal regista. Quando diventa chiaro che non tutte le Settman riusciranno a salvarsi e che ogni volta ciascuna riprenderà da dove la precedente si è fermata, comprendiamo infatti il trucco forse più geniale di questo sci-fi/action movie con poche luci e tante ombre: l’impassibile Karen Settman non è altro che il personaggio di un videogame con una storia preconfezionata e un numero limitato di vite, ideato per superare livelli fino a esaurimento scorte. Per ogni vita cambieranno il metodo di gioco, gli aiutanti, i rivali, ma mai il risultato finale.