“Volevo una vita normale”, sottotitolo di Gramigna, è il primo desiderio di Luigi Di Cicco (Gianluca Di Gennaro), figlio di un noto camorrista condannato all’ergastolo, nonché giovane protagonista della pellicola diretta da Sebastiano Rizzo. “La mafia non è invincibile. È un fatto umano e in quanto tale ha un inizio e avrà anche una fine”. Forse le parole di Giovanni Falcone rimangono scolpite anche nell’animo inquieto di un ragazzo costretto, fin da piccolo, a un’esistenza fuori dal comune, perché la mafia, come la gramigna, è difficile da estirpare.

Gramigna Gianluca di GennaroLuigi vive con la madre Anna (Teresa Saponangelo) e con la nonna, mentre il padre, Diego (Biagio Izzo), è in galera per aver commesso un omicidio. La prigionia impedisce all’uomo di essere una figura di riferimento, mentre nel bambino crescono rabbia e solitudine. Circondato da affetti che impongono al ragazzo di dedicarsi unicamente prima allo studio e poi al lavoro, Luigi accoglie i consigli paterni dell’istruttore di calcio Vittorio (Enrico Lo Verso) e non cede alle lusinghe di “Zio” Gennaro (Gianni Ferreri), che cerca di corrompere il figlio del boss con offerte di denaro e orologi costosi.

Biagio Izzo e Teresa Saponangelo sul set di GramignaTratto dall’omonimo libro di Luigi Di Cicco e Michele Cucuzza, Gramigna coniuga un epopea familiare di vecchio stampo a una regia essenziale, senza apparenti sbavature. Sorretto da una fotografia plumbea e da dissolvenze che condensano la greve atmosfera degli eventi, l’opera di Rizzo non è l’ennesimo crime movie che con tono cronachistico mira alla verosimiglianza di atti efferati. Il regista infatti è interessato al punto di vista di chi subisce, di riflesso, le ingiustizie e i soprusi di un mondo che non gli appartiene, pur essendoci nato.

Di Gennaro offre una performance realistica e convincente nei panni del “figlio d’arte” che lotta ogni giorno contro provocazioni e pregiudizi, mentre la Saponangelo e Izzo mostrano sicurezza nell’interpretare una madre rassegnata al destino e un criminale consapevole degli errori commessi in passato. La sceneggiatura di Camilla Cuparo esalta l’intenzione del regista di focalizzarsi sulle complesse dinamiche di un nucleo sociale toccato dalla malavita, ma che al contempo racchiude un omertà “al contrario”, volta cioè a salvaguardare gli innocenti. “Ti devi cecare gli occhi!” dice Anna a Luigi, ma sarebbe meglio aprirli a chi, invece, non riesce a vedere nemmeno coi propri.