Judas and the Black Messiah di Sasha King, è un’opera militante e politica sulla comunità afroamericana.
Chicago, 1968. William O’Neal (Lakeith Stanfield) è un giovane criminale di strada afroamericano, è stato beccato dalla polizia per aver cercato di rubare un’auto di una gang fingendosi un federale. Tratto in arresto, viene messo di fronte ad una scelta: o farsi diversi anni di prigione o diventare collaboratore dell’agente dell’’FBI Roy Mitchell (Jesse Plemons).
L’obbiettivo è semplice: entrare nella sezione delle Pantere Nere che in quel momento è in fermento, e conquistare la fiducia del suo giovane leader: Fred Hampton (Daniel Kaluuya).
Hampton è stato indicato dal Direttore dell’FBI in persona, Edgar J. Hoover (Michael Sheen), come il pericolo numero uno allo status quo americano, dal momento che non è un agitatore, un criminale, un pacifista o un attivista dei Diritti Civili o dell’Islam Nero, Hampton è qualcosa di peggio: è un rivoluzionario marxista-leninista.
Judas and the Black Messiah, diretto da Sasha King, parla di quei mesi tragici ed intensi, in cui Hampton fu capace di creare la Coalizione Arcobaleno, di unire cioè in un fronte compatto, la realtà antagonista dei gruppi e gang multietnici di Chicago, per cercare di cambiare radicalmente la situazione nei ghetti, di combattere la segregazione che perdurava in altre forme. Per questo, fu infine ucciso a sangue freddo durante un raid della polizia di Chicago, il 4 dicembre 1969.
Judas and the Black Messiah, è un film di una potenza espressiva quasi inedita per il cinema americano attuale che sovente ha abbracciato una dimensione narrativa ed estetica in cui la retorica e il sentimentalismo soffocavano la possibilità di andare oltre e di costruire un racconto caratterizzato da una volontà politica più che diegetica.
Qui invece, siamo di fronte ad un film che è sicuramente molto più connesso ad un certo cinema militante degli anni ’70, soprattutto europeo. Non c’è spazio per digressioni sentimentali o epiche, solo una narrazione in cui la vera protagonista è la visione politica di Hampton, figura assolutamente diversa da un Marthin Luther King o un Malcolm X.
Hamtpon aveva capito che, per cambiare le cose, bisognava cambiare la società americana e stravolgere i suoi valori, “europeizzarsi” in un certo senso.
Alla coscienza etnica o di razza, Hampton voleva sostituire quella di classe, in pratica distruggere la conflittualità razziale che metteva poveri contro poveri, favorendo l’establishment.
Hampton si ispirava alle teorie comunitarie e dell’attivismo proprie dei rivoluzionari socialisti e marxisti, aveva creato una coesione tra gli ultimi della società mettendo insieme afroamericani, ispanici, nativi e bianchi, gente che fino a quel momento ricorreva alla violenza per qualsiasi inezia.
Quelle comunità per la prima volta legate tra loro crearono quasi uno Stato parallelo a quello ufficiale che rispondeva alle esigenze solo con poliziotti bianchi armati di manganelli e fucili.
Judas and the Black Messiah ci mostra la realtà intima di un paese in cui non vi è possibilità da parte dei ceti più svantaggiati di cambiare la propria situazione e sposare l’”american dream”.
Hampton era contro l’individualismo, era per la comunità, l’orgoglio di classe e per portare in America – Paese nato da una rivoluzione, ma col tempo diventato conservatore e fascista – tecniche di lotta politica utilizzate dai rivoluzionari europei.
Alla sua lucidità e coscienza politica, al suo coraggio di giovane leader si contrappone O’Neal, il “Giuda” costretto dai federali, razzisti, misogini e fascisti, a tradire la sua stessa gente.
I due interpreti, Daniel Kaluuya (Hampton) e Lakeith Stanfield (O’Neal), sono semplicemente eccezionali nel mettere in scena due diversi volti della stessa comunità. Perché se Hampton è l’oppresso che prende coscienza di sé e decide di combattere il sistema, O’Neal è immobile e condizionato dal sistema stesso, ma paradossalmente è colui al quale Hampton si rivolge.
O’Neal è ignorante, disperato, senza futuro e o legami, intraprende un viaggio che è la presa di coscienza della sua impotenza, è attratto e assieme impaurito dalle idee di Hampton, ma fondamentalmente è la pedina nelle mani di un agente dell’FBI.
O’Neal tuttavia è anche l’erede degli schiavi neri e come loro non riesce a debellare la situazione di asservimento e terrore, di degrado e ghettizzazione in cui le minoranze in America ristagnano dai tempi della Guerra Civile.
Judas and the Black Messiah è un atto di accusa all’America come paese e società malata, incapace di correggersi, ossessionata dal pericolo comunista quando in realtà, è da sempre infettata dal mito del capitalismo come fonte di libertà. Ma l’unica libertà che garantisce è quella dei più forti. Quella dei bianchi.
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