È un volto noto alla Mostra del Cinema di Venezia la regista saudita Haifaa Al Mansour. Soltanto nel 2012, infatti, all’interno della sezione Orizzonti, l’autrice aveva presentato il suo La Bicicletta verde, che complessivamente aveva ottenuto una buona accoglienza da parte sia di pubblico che di critica. Ed ecco che, ben sette anni più tardi, la regista è nuovamente approdata al Lido – questa volta in concorso – con The perfect Candidate, in cui, analogamente a quanto è avvenuto per il precedente La Bicicletta verde, viene messa in scena una storia tutta al femminile, con tanto di denuncia circa le condizioni della donna all’interno della propria nazione. Ma sarà davvero così incisivo questo The perfect Candidate, nonostante le ottime intenzioni iniziali? Presto detto.

La storia messa in scena, dunque, è quella di Maryam (Mila Alzarhani), una giovane dottoressa, che, al fine di far risistemare la strada che porta all’ospedale in cui lavora, decide di candidarsi alle successive elezioni municipali, andando contro ogni convenzione e contro la sua stessa famiglia, per una strada decisamente in salita e piena di ostacoli.

Già da una prima, sommaria lettura della sinossi, dunque, ci rendiamo conto come l’argomento trattato sia, in patria, alquanto spinoso. E se Haifaa Al Mansour, dal canto suo, al giorno d’oggi è la prima regista donna ad avere avuto il permesso di girare film, pur sottostando alle leggi del posto – con una libertà di espressione probabilmente assai limitata – in questo suo The perfect Candidate ha cercato di scandagliare la questione delle donne in politica in ogni suo aspetto e con tutte le difficoltà del caso.

The perfect Candidate di Haifaa Al Mansour

Eppure, al termine della visione, il presente lungometraggio fa storcere parecchio il naso. Volendo, infatti, tenere in considerazione gli evidenti limiti produttivi della regista stessa, The perfect Candidate ci appare sin dal principio come una sorta di favola fortemente edulcorata dal sapore agrodolce, per un risultato finale piuttosto fiacco, decisamente sottotono e assai meno incisivo di quanto era avvenuto con il precedente La Bicicletta verde.

Tutto, nel presente lavoro, ci appare, dunque, a tratti forzato e prevedibile, sebbene siano presenti anche elementi degni di nota, come il rapporto tra la protagonista stessa e suo padre (una delle cose meglio scritte di tutto il film) o la scena in cui la stessa si accinge a tenere un discorso di fronte a una platea a dir poco ostile, composta da soli uomini.

Sono, questi, sporadici elementi decisamente notevoli all’interno di un lavoro che, sia per forma che per contenuto, ci appare fortemente maldestro e frettoloso. E se, malgrado l’approccio registico il più possibile vicino al reale (come, d’altronde, era stato anche per il precedente lungometraggio dell’autrice), non possiamo non notare una macchina da presa incerta e che, spesso e volentieri, ci dedica inquadrature gratuite o poco pertinenti a ciò che si è messo in scena, dall’altro canto ci accorgiamo come un’altra componente di The perfect Candidate – ossia la questione riguardante la carriera da cantante del padre della protagonista – strida fortemente con l’approccio realistico che concerne i momenti di vita quotidiana della donna, a causa di immagini eccessivamente patinate e poco in linea con il resto della messa in scena.

Peccato, dunque, che un lavoro dalle così forti potenzialità sia finito irrimediabilmente per sgonfiarsi come un palloncino. Eppure, si sa, anche all’interno di una carriera partita in modo complessivamente promettente, non accade di rado che l’autore stesso possa fare qualche scivolone.