Charley Thompson è affamato di tutto ciò che non ha: affetto, serenità, sicurezza e stabilità. Senza madre e con un padre bislacco, dedito più all’alcol e alle donne che alla felicità del figlio, il ragazzo colma l’immenso vuoto che lo divora sfinendosi di chilometri di corsa. Per caso incontra l’allevatore di cavalli Del e per necessità si affeziona a “Lean on Pete”, uno dei cavalli di cui si prende cura come stalliere.

In questo che appare inizialmente come un racconto di formazione, Pete dissolve l’estrema solitudine di Charley e diviene causa della sua discesa verso un abisso di situazioni soffocanti.

lean-on-pete-venezia74-cabiria-magazine-recensioneLeon on Pete è una storia che conosciamo già, non perché il regista Andrew Haigh si ispira a piene mani all’omonimo romanzo di Willy Vlautin, ma perché in questo viaggio alla ricerca di un posto sicuro, di una famiglia amorevole o, semplicemente, di un’autentica libertà ritroviamo scelte e situazioni che abbiamo visto troppe volte nella cinematografia contemporanea. Non c’è nulla di male nello scegliere luoghi angusti per identificare una sensazione di costrizione o spazi aperti per sottolineare l’indipendenza di un personaggio, ma ogni regista dovrebbe provare gioia nell’escogitare un linguaggio che trasformi una serie di comuni eventi in qualcosa di straordinario.

Charley corre, scappa da qualsiasi cosa e più lo fa più si trova ingarbugliato in vicende, al limite dell’inverosimile, dalle quali esce sempre incolume ma più debole e impaurito di prima. Anche quando l’agognata meta si allontana dall’illusione e si trasforma in realtà, il giovane rimane lì, stretto in una perenne morsa di angoscia che non gli dà alcuna possibilità di crescita.

Come altri registi in Concorso, alla 74° Mostra del Cinema di Venezia, anche Andrew Haigh predilige che la storia parli da sé, usando la macchina da presa in modo lineare e canonico, senza permettersi alcuna forte scelta registica, che con ogni probabilità avrebbe donato un ritmo stimolante alla diegesi e diminuito l’eccessivo minutaggio finale.

Non bastano le parole, non basta la buona interpretazione di Charlie Plummer, Steve Buscemi e Chloë Sevigny per dimenticare le lacune e i passi falsi presenti in Lean on Pete.