Nel 1968 esce “Il grande silenzio” di Sergio Corbucci, uno dei western italiani più atipici e strani mai realizzati.

Nel Nevada, a Snow Hill, verso la fine dell’Ottocento, è caduta la neve. Il freddo pungente e inaspettato ha spinto i banditi rifugiati sulle montagne a scendere a valle per procacciarsi dei viveri. Una volta a valle però, questi banditi sono facile preda dei “Bounty killer” pronti a trucidarli per incassare le modeste taglie. Il cacciatore di taglie più sanguinario e spietato è Tigrero (Klaus Kinski) che durante la sua caccia all’uomo uccide il marito di Pauline (Vonette McGee, del cultissimo trashissimo “Blacula”). La vedova ingaggia, per vendicare il marito, il pistolero muto Silenzio (Jean Luis Trintignant). Silenzio non è nato muto, ma gli sono state tagliate le corde vocali, da bambino, dai Bounty Killer che gli hanno ucciso la madre e il padre ricercato. Nel viaggio sulla dilingenza per Snow Hill, Silenzio incontra il futuro sceriffo (Frank Wolff) determinato a fermare l’avidità dei Bounty killer e Tigrero.

Le cose nella ghiacciata Snow Hill, dopo l’arrivo dei tre, andranno per il peggio, infatti Tigrero ucciderà prima lo sceriffo e poi lo stesso Silenzio e quindi Pauline.

Come ci aveva mostrato Sergio Leone nel 1964 il west è una terra selvaggia sempre polverosa, assolata e con un caldo asfissiante, in Italia molti hanno continuato sulla strada tracciata da quello che può essere considerato uno dei più grandi registi di sempre, e per più di un decennio artigiani cinematografici hanno “copiato” Leone senza diversificarsi molto.

Uno dei pochi che ha cercato di realizzare opere originali, o quantomeno diverse, è Sergio Corbucci: un esempio è sicuramente “Django”, ma riguardo alla questione clima è decisamente più calzante “Il grande Silenzio”.

Come ne “Il grande sentiero” di John Ford, Corbucci sfata lo stereotipo del west caldo e polveroso e ambienta il suo western in mezzo alla neve (girato sulle Dolomiti) e il risultato è un’opera piena di fascino che si discosta moltissimo dal resto degli spaghetti western.

L’ambientazione influisce molto, infatti non ci sono sconfinate praterie con cavalli al galoppo, ma valli innevate dove i cavalli fanno fatica a camminare e dove il freddo gela la tesa del cappello e le armi, costringendo gli uomini a girare con voluminose e goffe pellicce.

Un punto in comune con Sergio Leone sono sicuramente i personaggi, lontani anni luce dal John Wayne perfettamente sbarbato e senza macchia del cinema americano. Silenzio, interpretato da un ottimo Trignant, ha gli occhi mezzi coperti dal cappello e il volto nascosto da una barba incolta interrotta a metà del collo da una vistosa cicatrice, è muto e ha un passato tremendo che cerca di riscattare “cacciando i cacciatori” di taglie. La sua nemesi è Tigrero, con voce calma e sottile, con lo sguardo glaciale di Kinski e il volto impassibile è un personaggio alquanto inquietante, spietato, crudele e perfido. Infine c’è Pauline, una ragazza di colore, scelta di ripiego, che però rende ancora più audace e fuori dagli schemi questo western.vlcsnap-2012-04-04-22h49m07s231

Ovviamente, come vuole il genere, scene truculente, sparatorie sanguinarie ed efferata violenza sono presenti in quantità notevole, però questa volta non c’è la vittoria dell’eroe a farle assimilare al malcapitato spettatore: per la prima volta negli spaghetti western vince il cattivo e non solo spara a tradimento al buono, ma uccide tutti gli ostaggi e si allontana tranquillamente nella sua pelliccia. È una trovata coraggiosa e innovativa, e dà più forza alla frase presente nel film: “un solo uomo non può fermare tanta violenza”.

Alcuni aneddoti curiosi sono legati a questa pellicola ed in particolare al monumentale Klaus Kinski: uno vuole che l’attore tedesco cadde da un cavallo che aveva schiaffeggiato  sul muso per farlo calmare, e un altro invece racconta che Kinski non volle stringere la mano a Wolff, spacciandosi per nazista, solo per rendere in ripresa più credibile l’odio nei suoi confronti da parte di Wolff.

Il film è una perla che va ricercata accuratamente, i dialoghi sono molti curati, il cast è di primo livello e recita in maniera superlativa, le musiche di Morricone sono meravigliose e la regia di Corbucci è efficace e in alcune scene anche poetica, poi un western così atipico, epico e bello è veramente difficile da trovare.