Film davvero di difficile valutazione questo The Courier, tratto dall’assurda, incredibile e pazzesca storia di ciò che capitò a Greville Wynne, uomo d’affari inglese che si trovò in men che non si dica, invischiato in un’operazione d’intelligence tra le più importanti della Guerra Fredda, e finì per giocare un ruolo fondamentale nella crisi nucleare che portò il mondo ad un passo dal disastro.
La difficoltà è insita nella struttura e soprattutto nella natura di questo film, sceneggiato in modo sicuramente robusto, ma non sempre creativo da Tom O’Connor, a cui manca onestamente il coraggio per andare oltre una mera ricostruzione dei fatti, creando uno sviluppo dei personaggi che vada oltre l’ovvio.
Personaggi che sono tutto tranne che banali, soprattutto perché veri, calati in un iter narrativo da cui emergono in modo preponderante due diverse tematiche: l’amicizia virile e l’eroismo dell’uomo comune.
Benedict Cumberbatch si cala in modo perfetto nei panni di questo distinto (e abbastanza discolo in realtà) uomo d’affari, abile quanto basta, attore per necessità lavorative, sposo e padre non sempre integerrimo, travolto dall’onda della storia. A lui si contrappone quello che fu in realtà il vero, tragico, eroe della vicenda: il Colonnello Oleg Penkovsky, a cui l’attore georgiano Merab Ninidze dona profonda dignità, umanità, senza mai incorrere nella tentazione di calcare troppo la mano e renderlo eccessivamente perfetto.
È su di loro che vertono i 111 minuti di un film che sovente oscilla tra un estremo e l’altro, tra dramma e commedia, tra thriller e film intimista. Tuttavia non sempre tale passaggio avviene in modo armonioso, anzi si può dire che essenzialmente The Courier sia diviso in due parti non particolarmente connesse tra loro.
La regia di Cooke è molto scolastica e di facile comprensione, ma manca del guizzo, della trovata, non riesce in pieno a rendere la visione dello spettatore qualcosa di veramente coinvolgente, anche per un eccesso di freddezza, un’incapacità a regalare un cambio di passo e ritmo ad una pellicola che in diversi momenti si perde. Al netto di questi difetti, occorre ammettere che The Courier è un film che porta al centro i rapporti umani, crea una contrapposizione tra la dimensione civile e quella non civile, distrugge il concetto di vita borghese, del focolare domestico come panacea di tutti i mali.
Cumberbatch dà al suo Wynne una dimensione di perenne mutamento, da borghese annoiato e avido a uomo impaurito, ma per questo più vivo di prima, fino a quella di stoico prigioniero che rifiuta di arrendersi ad un nemico, l’Unione Sovietica, che per una volta appare per ciò che era: ruggine verniciata. Ammirevole anche il lavoro fisico fatto sul personaggio, che parte da una fisicità pingue, si assesta su un discreto stato di forma e poi sprofonda in una magrezza veramente impressionante. Christian Bale non avrebbe fatto di meglio.
Eppure forse il più bravo è Ninidze, con il suo Colonnello Penkosvksy, figura eroica ed assieme tragica dell’URSS, padre e marito che il bravo attore georgiano (già visto in Il Ponte delle Spie e My Happy Family) rende in fondo il vero protagonista. Umano, astuto, ma non più dell’infernale KGB, è il ritratto fatto e finito di chi scelse l’umanità prima che la patria, l’empatia verso i propri simili piuttosto che la cieca obbedienza verso una leadership che qui appare in tutta la sua riluttante inettitudine e mediocrità.
The Courier non ha lo charme, eleganza e l’intreccio sofisticato de La Talpa (Tomas Alfredson, 2017) e non riesce ad eguagliare l’intensità e l’epica de Il Ponte delle Spie (Steven Spielberg, 2015), ma in compenso ci illumina sul contributo inestimabile di uno 007 per caso, sposa una dimensione più umana, terra terra, in cui epica e retorica sono assenti, anche grazie alla fotografia essenziale e fredda di Sean Bobbit.
Il resto del cast comprende Rachel Brosnahan, Jessie Buckley, Angus Wright e Jonathan Harden, ma oggettivamente non vi è poi molto di più che un lavoro di caratterizzazione tipico, senza particolari acuti. Tra ristoranti, camere d’albergo, stanze e vicoli, The Courier crea nell’oscurità, nei movimenti ravvicinati, le fondamenta di un racconto che ad una prima parte ben poco appassionante o elettrizzante, fa seguire una seconda molto più interessante, piena di coraggio, sofferenza e di umana paura.
Un peccato che Cooke abbia deciso di farlo in modo così tardivo, così come di darci un’immagine così parziale di quella terribile macchina di morte e sospetto che fu il KGB, capace di ogni astuzia e terrificante nefandezza per difendere la nomenklatura.
Detto questo, è un film che merita sicuramente di essere visto, dominato da due attori di grande talento, in cui riaffiora una componente di dialogo, comunicazione e comprensione, che è sicuramente di grande attualità, in un mondo in cui la dimensione collettiva si è persa, annegata da una marea di egocentrismo e individualismo che The Courier esalta, ma solo in funzione di una riscoperta dell’individuo in quanto salvatore della comunità, fiore all’occhiello di essa. Il tutto poi restando scevro da ogni patriottismo.
Di certo un’opera che rappresenta la conferma di un momento di grande felicità e varietà del cinema di Sua Maestà.