Negli anni ’20 in Unione Sovietica al cinema viene affidato il compito di esaltare la rivoluzione e di contribuire alla formazione dell’uomo nuovo della società comunista. In questo periodo in tutte le arti si registra un forte spirito innovativo che apre la cultura alle esperienze delle avanguardie europee nella prospettiva di un rinnovamento dell’estetica tradizionale. Nel cinema si sottolinea la grande importanza rivestita dal montaggio ed è quest’ultimo che viene eletto a “specifico filmico” il cui compito non è più quello di riprendere passivamente la realtà, ma di intervenire in maniera attiva su di essa mediante l’impiego delle figure della retorica classica ( quali la metafora, il simbolo, la personificazione e l’analogia), applicate anche allo schermo grazie alle infinite possibilità combinatorie offerte dal montaggio.
Il più grande teorico del montaggio è stato Ejzenstejn. Per il regista l’unione di due immagini non genera una somma bensì un prodotto,dal momento che ogni inquadratura non è un mattone che concorre alla costruzione dell’edificio, ma è una cellula che si divide e si riproduce fino ad investire l’intera opera. Della ricchezza di intuizioni di Ejzenstejn si ha una prima prova in Sciopero (1924), un film corale sulla logica spietata del capitalismo che si avvale di infinite invenzioni visive e riesce a coniugare la denuncia sociale con un grande senso di umanità nei confronti degli oppressi in una innovativa sintesi poetico-critica. Anche il successivo La corazzata Potemkin (1925) è la drammatica ricostruzione di una spietata repressione delle truppe zariste ai danni del popolo di Odessa e raggiunge punte di alto pathos mediante la decos truzione della realtà e la sua ricostruzione in termini puramente visivi, tale da richiedere la partecipazione attiva del pubblico chiamato a integrare mentalmente i frammenti che appaiono sullo schermo. Quella che il regista vuole provocare non è più la tradizionale “emozione” ,è bensì una dimensione “estatica” che faccia uscire da sé lo spettatore. Soltanto anni dopo Ejzenstejn si convertirà al cinema narrativo con l’agiografico Alexander Nevskj (1938), opera celebrativa, ma ch e contiene una esemplificazione della teoria dell’asincronismo nel rapporto tra immagini e musica nella sequenza della battaglia sul lago ghiacciato musicata da Prokoviev.
Senza storia e con u nico protagonista l’occhio della cinepresa sono le opere di Vertov, il teorico del “cine-occhio”, il quale esplora le possibilità rivelative dell’obiettivo costruendo dei poemi visivi sulla città moderna con il ricorso ad un montaggio poetico e straniante che ci fa vedere con sguardo diverso la realtà di tutti i g iorni. Nel suo fil m-m anifesto L’uomo con la macchina da presa (1929), la città diventa un organismo vivente che una rete di collegamenti visivi rappresenta in tutta la sua unità fatta di invisibili corrispondenze evidenziate grazie all’impiego di numerosi trucchi ottici quali la sovrimpressione,il mascherino,il ralentì e la microfotografia.
Più tradizionale, ma maestro nell’impiego della metafora, è Pudovkin, del quale restano celebri le analogia visive,come quella tra il fiume in piena e la marcia impetuosa dei rivoluzionari presente in La madre (1926). Alla vita dei contadini dedica le sue opere Dovzenko, il quale recupera una dimensione arcaica nel raccontare le opere e i giorni dei contadini che fa pensare a Esiodo.
L’approdo estremo della ricerca sul montaggio è costituito dal “montaggio intellettuale” elaborato nel 1929 da Ejzenstejn, in base al quale il cinema può rappresentare anche idee astratte e non soltanto fatti concreti e può diventare, in tal modo, anche produttore di pensiero e strumento di riflessione filosofica (un principio, questo, che sarà ripreso e sviluppato molti anni dopo da Godard negli esempi di “ cinema-saggio” da lui realizzati dal 1970 in poi).