“Non c’era altro modo” diceva Stephen Strange a Tony Stark alla fine di Avengers Infinity War riguardo all’epilogo degli eventi dopo il recupero da parte di Thanos di tutte e sei le Gemme dell’Infinito e il suo schioccare le dita eliminando il 50% della popolazione mondiale. Lo Stregone Supremo aveva visto tutti i miliardi di possibili futuri e solo in uno gli Avengers risultavano vincitori. Sarà quello di Avengers Endgame?
Anche per i fratelli Joe e Anthony Russo c’era forse un unico modo per strutturare al meglio questo film e hanno scelto ancora una volta, proprio come avevano fatto con Infinity War, la matrice seriale per chiudere 11 anni di storie, la Fase Tre e in generale la prima macro fase del Marvel Cinematic Universe.
Quando si arriva all’ultima stagione di una serie tv annunciandola con il giusto anticipo e quindi con il tempo per sceneggiatori e registi di impostarla come gran finale – e guarda un po’ sta accadendo proprio in queste settimane con Game of Thrones – uno strumento un po’ abusato ma sempre efficace è giocare con il tempo in modo da far tornare, anche se magari per brevi istanti, coloro che non ci sono più. Ed è proprio ciò che gli sceneggiatori Christopher Markus e Stephen McFeely hanno utilizzato per imbastire, insieme ai fratelli Russo e capitanati dal (super) produttore Kevin Feige, ancora una volta, in modo certosino, ogni personaggio, ogni frammento di storia, ogni new entry, ogni accompagnamento musicale all’interno del sempre più affollato calderone Marvel al cinema.
Il grande piccolo schermo del Marvel Cinematic Universe
Avengers Endgame utilizza quindi gli strumenti della serialità televisiva per celebrare gli 11 anni di storie dei supereroi protagonisti, soprattutto la “vecchia guardia” a cui il pubblico è istintivamente più affezionato, proprio come accade con i personaggi del piccolo schermo che vediamo tornare ogni settimana per parecchi mesi. Proprio come ogni series finale che si rispetti – la Marvel continuerà al cinema, ma volutamente non si sa ancora come, fatta eccezione per Spider-Man: Far From Home che ci attende a luglio – non tutti i fan usciranno soddisfatti e appagati dalla sala cinematografica, ma crediamo fermamente che lo faranno in molti. La prima parte del film funziona meno rispetto alla seconda poiché è una sorta di prologo ma deve svolgere anche la funzione di midseason premiere rispetto a Infinity War, e qualcuno per le strizzate d’occhio alle scene iconiche dei precedenti film della Casa delle Idee potrebbe urlare al fan service; ma lo è davvero se si tratta di dare il giusto spazio e la degna conclusione a personaggi che nonostante i superpoteri è come se fossero nostri vicini di casa e oramai riusciamo a coglierne tutte le fragilità e i difetti?

Se non ora, quando?
Il gioco temporale del film fa bene anche a personaggi che potrebbero prendere le redini del MCU d’ora in avanti, con una perfetta continuity ideale anche con la controparte cartacea che ancora riempie le fumetterie. Soprattutto nella parte iniziale di Endgame i richiami al telefilm The Leftovers – dove era il 2% della popolazione a sparire misteriosamente e toccava a coloro che sono rimasti del titolo imparare ad andare avanti – non sono pochi, soprattutto per il senso di vuoto che noi stessi da spettatori alla fine di Infinity War abbiamo provato e che sappiamo proveremo ancor di più alla fine di Endgame.
Proprio come quando finisce una (grande) serie tv.
Ciò che differenzia principalmente infatti il grande dal piccolo schermo è l’affezione che il pubblico può provare per i personaggi, per il tempo maggiore che trascorre con loro e di conseguenza per la maggiore possibilità da parte degli sceneggiatori di dipingerli a tutto tondo. È ciò che infatti hanno provato a fare le grandi saghe al cinema, spesso riuscendoci ben inteso, ma qui si tratta di molto più di una trilogia, di qualcosa di veramente epocale nella costruzione narrativa che sa prendere il meglio dei due media e fornire un risultato che è più della somma delle due parti (e di tutti i supereroi e le star coinvolte). Non può essere un caso che attori seriali come Benedict Cumberbatch o Evangeline Lilly, giusto per fare due esempi, abbiano abbracciato il cinema blockbuster anche grazie ai Marvel Studios.
Se Infinity War brillava maggiormente per invettiva e coraggio, questo Endgame sembra prendersi tutto il tempo che occorre – ma le oltre tre ore di film non si sentono minimamente durante la visione – per restare ancora un po’ con i nostri beniamini, scherzare con loro (da sempre il tratto distintivo del MCU), ma anche commuoversi, piangere, emozionarsi, e salutare alcuni di loro per l’ultima volta. Non mancano le scene d’azione ma molto spazio è dedicato all’introspezione dei personaggi ed è anche in questo che la matrice seriale fa nuovamente capolino. Sarà banale dirlo, ma mai più di ora “Lunga vita al grande serial Marvel al cinema”, a ciò che c’è stato ma soprattutto a ciò che verrà. D’altronde la nostra fiducia se la sono guadagnata.
[…] (L’uomo che non c’era, Cogan, La forma dell’acqua), Jeremy Renner (Arrival, Avengers Endgame), Sissy Spacek (La rabbia giovane, Carrie – Lo sguardo di satana) e Michelle Monaghan […]