Avvisati. Sta per arrivare sugli schermi a fine maggio Godzilla-Theking of the monsters, l’ennesimo rifacimento della storia del mostruoso lucertolone gigante che nel lontano 1954 terrorizzò il mondo ad opera del regista giapponese Ishiro Honda che ne fu il creatore e che da allora è tornato più volte a spaventarci con la sua furia distruttrice non priva di ottime ragioni.
Il nuovo Godzilla riproposto dall’americano Michael Dougherty è il numero 30 di una saga immortale nel corso dei cui capitoli la creatura è stata declinata in tutti i modi possibili senza mai perdere nulla della sua potenza spettacolare accresciuta via via da risorse tecnologiche sempre più avanzate rispetto alla semplicità artigianale della prima versione nipponica girata in bianco e nero.
Questa volta vedremo Godzilla combattere contro altri terribili mostri suoi nemici storici, tra cui Rodan e il drago a tre teste King Ghidorah, nel tentativo di difendere dai rivali il suo territorio e forse anche l’intero pianeta.
Il film riprende l’immagine in fondo positiva del mostro già inaugurata nella precedente versione USA del 2014 realizzata da Garet Edwards dove Godzilla rompeva letteralmente le uova nel paniere agli altri mostri intenzionati a popolare con la loro discendenza il mondo a scapito degli umani. E anche adesso lo ritroveremo impegnato a fare a pezzi i colossali bestioni avversari per impedire che non solo lui, ma anche il genere umano, che pure tanti torti gli ha inflitto, venga cancellato dalla faccia della terra.
Dunque Godzilla sta per tornare e questo dopo la teutonica versione cinematografica del tedesco Emmerich dal passo davvero elefantiaco succeduta a tanti altri capitoli anche ironici di fattura giapponese e anche dopo la riedizione colorizzata fatta della prima versione americana dell’originale approntata nel 1977 dall’italiano Luigi Cozzi (un godibile Godzilla dai risvolti pop-psichedelici nella forma di un ipertesto contenente spezzoni di documentari d’epoca sulla guerra nucleare).
La ragione della longevità di Godzilla risiede nel semplice fatto che il mostro marino, riemerso dagli abissi per colpa degli esperimenti nucleari, altro non è che una proiezione del primordiale archetipo dell’Ombra che secondo il fondatore della psicoanalisi Carl Gustav Jung abita da sempre dentro il nostro inconscio collettivo (quello stesso Jung che proprio con riferimento al primo film su Godzilla scriveva che “probabilmente i mostri dei moderni film dell’orrore non sono altro che versioni distorte di archetipi che non verranno più rimossi”).
Un archetipo,questo, dalla natura ambivalente che può condurci alla salvezza ma anche alla distruzione secondo la condizione patologica in cui si trova storicamente lo spirito di un popolo. Di fatto Godzilla, e insieme a lui anche il povero gorilla King Kong, ci rimanda dallo schermo la nostra immagine di esseri civilizzati ma sempre preda degli istinti oscuri che covano nel profondo della psiche umana. Istinti che potrebbero in particolari occasioni scatenarsi con effetti distruttivi (tali da richiedere l’intervento salvifico di un Godzilla più umano di noi umani).