La pellicola A Doppia Faccia rientra tra i cult thriller italiani: per la regia di Riccardo Freda, la cui sceneggiatura viene scritta insieme a Lucio Fulci, il giallo erotico prende ispirazione dal racconto The Face in the Night del famoso giallista Edgar Wallace.
La produzione, che coinvolge ben tre realtà tra cui Colt, Mega Film e Rialto Film, permette di scritturare attori di talento come il divo Klaus Kinski (che interpreta John) e riesce ad offrire al regista Freda un campo d’azione per rendere interessante questo prodotto del cinema popolare.
A Doppia Faccia, la trama del cult di Freda
La storia ruota attorno a Helen (Margaret Lee), una donna ricca che muore in un incidente stradale, lasciando al marito John l’eredità della sua fortuna. Tuttavia, scopriamo che il loro matrimonio era in crisi a causa di una relazione omosessuale che legava la moglie alla sua segretaria Liz (Annabella Incontrera).
Dopo alcuni mesi, John assiste alla proiezione di un film amatoriale a luci rosse in un luogo sotterraneo e oscuro, in cui riconosce la defunta moglie tra le protagoniste: è qui che la trama prende un piede diverso, poiché John si spinge in una morbosa indagine tra sbandati e pornografi, fino a venir intrappolato in una complessa macchinazione.
Perché vedere A Doppia Faccia, il film di Riccardo Freda
Lo sforzo collettivo richiesto nei tempi moderni nel guardare A doppia Faccia è quello di indossare i panni di un sessantenne all’albore degli anni ’70, che era poi l’età del regista all’uscita del film. Riccardo Freda ha sicuramente realizzato lavori migliori tra cui I vampiri (1957), Caltiki, il mostro immortale (1959), L’orribile segreto del dr. Hichcock (1962) , ma se piace il genere, questa è una delle sue opere minori che merita una visione.
Ma non temete: messi da parte i limiti degli effetti speciali del tempo e qualche primo piano scoordinato con i dialoghi e le luci della scena precedente, il film resta un esempio di quel cinema perduto che ha messo le radici ad una visione disincantata della filmografia italiana, che non deve più necessariamente raccontare le tragedie del neorealismo, ma che è, invece, più attenta all’insorgere dei diversi costumi della gioventù.
In questo senso, la pellicola è molto moderna e intreccia le turbe erotiche con quelle del giallo e dell’azione, staccandosi completamente dal neorealismo che Freda disprezza apertamente come riportato nell’articolo di Gloria Satta «Attori, che gentaglia e i nostri “grandi” registi pure», in Il Messaggero:
Il neorealismo è stata la peggiore espressione del cinema. Filmare la realtà più drammatica è facile: basta entrare in un lebbrosario con la cinepresa, sai che film.
Tale premessa è di dovere per inquadrare il regista come una figura ideale per battaglie culturali e provocazioni, infatti il film A doppia faccia si distingue per la sua audacia nell’epoca in cui viene realizzato, poiché esplora tematiche controcorrente come la bisessualità e la pornografia illegale.
Il film inizia dalla fine con un incidente automobilistico e si sviluppa attraverso un lungo flashback: da subito si riesce a notare come, nelle espressioni enigmatiche di John, possiamo dare diverse letture di ciò che potrebbe essere successo, mentre le sue parole d’amore nei confronti di Helen non trovano un riscontro nei suoi sguardi o nelle sue gesta.
Si sospetta sin da subito del protagonista, un personaggio ambiguo che si trasforma (in maniera anche repentina) da un marito deluso in un investigatore cinico.
Lui dice di amare la moglie, di non sapere cosa sia successo una volta essere tornati a Londra, eppure Helen con una sola frase (e a soli quattro minuti e quaranta secondi dall’inizio del film), gli ricorda della sua segretaria, probabile amante. La moglie, dal canto suo, non è una santa e sembra la solita borghese annoiata, poco tridimensionale, tanto da avere un’allure di mistero pressoché inutile ai fini della trama.
Nella sua rappresentazione della sessualità fluida dei personaggi femminili, Freda non si spinge oltre i cliché: le donne che intraprendono relazioni omoerotiche sono ritratte come signore ricchissime e annoiate, ballerine di teatri che vivono in un mondo tutto loro, o addirittura come prostitute quasi minorenni e prive di inibizioni.
Questa visione disillusa dei rapporti umani si dipana sullo sfondo della “swinging London,” reso ancora più oscuro dalla fotografia di Gabor Pogany. Questo scenario si mescola con il volto misterioso del protagonista, creando un mix inquietante. Le atmosfere del film trasudano mistero, paranoia, e offrono una colonna sonora tenebrosa e avvolgente, persino durante un party psichedelico e illegale.
Ultima considerazione va alla colonna sonora incisiva di Nora Orlandi, poiché la canzone ricorrente dal testo profetico, si integra perfettamente all’interno di A Doppia Faccia, esaltando le scene più eleganti del film.
Per finire, seppur sia necessario studiare il contesto di questo film, A Doppia Faccia è un giallo gotico che ha senso vedere soprattutto per comprendere meglio il volere di Freda nel riprendere narrazioni letterarie e renderle fruibili ad un pubblico non necessariamente preparato, in un periodo di transizione che va dal neorealismo alla commedia all’italiana.