L’Italia, si sa, vanta una forte, fortissima tradizione nel campo del cinema horror.
Dario Argento, Lucio Fulci, Mario Bava, Riccardo Freda sono soltanto alcuni dei nomi che hanno conferito nuova linfa vitale al cinema nostrano, facendo scuola anche all’estero (il buon Quentin Tarantino, giusto per fare un esempio, ne sa qualcosa in merito). Eppure, nonostante ciò, oggi sono in pochi a ricordare il nome di Eugenio Testa (1892 – 1957). Eugenio Testa, dunque, ha iniziato la sua carriera nel cinema molti anni prima rispetto ai suoi sopracitati colleghi, ossia già all’epoca del muto, realizzando nel 1920 quello che è considerato il primo horror italiano di sempre: Il Mostro di Frankenstein.

Terzo adattamento cinematografico del romanzo Frankenstein, o il Prometeo moderno di Mary Shelley (1816), Il Mostro di Frankenstein, prodotto dalla Albertini Cinematografica e sceneggiato da Giovanni Drovetti, è andato, oggi, purtroppo definitivamente perduto.

Tutto ciò che ci è rimasto, infatti, sono soltanto pochi fotogrammi e diverse locandine d’epoca, tutte risalenti al periodo tra il 1920 e il 1926. Dopo quell’anno, di fatto, non si conosce il destino della pellicola, che a quanto pare, a suo tempo, ha riscosso un discreto successo anche all’estero, distribuita in particolare in Francia con il titolo di Le Monstre.

Per quanto riguarda la trama, tutto ciò che sappiamo è che essa rispecchi per molti versi quella del romanzo originale, seppur differisca in particolare per un fattore decisamente insolito di cui parleremo a breve.

Il Mostro di Frankenstein di Eugenio Testa: la trama di questo film perduto

Il Barone Frankenstein (impersonato da Luciano Albertini, anche produttore del film) vuole a tutti i costi dar vita alla materia morta e, a tal fine, mettendo insieme varie parti del corpo di diversi cadaveri, crea il leggendario mostro (Umberto Guarracino).
Quest’ultimo, tuttavia, inizia a ribellarsi al suo creatore commettendo una serie di brutalità, per poi essere definitivamente sconfitto da Sansone (anch’egli impersonato da Albertini).

Sansone vs il mostro di Frankenstein ?

Sì, avete capito bene: Sansone. Cosa può avere a che fare una figura come la sua con l’adattamento del romanzo di Mary Shelley?

Del perché, a suo tempo, Eugenio Testa abbia deciso di inserire tale personaggio nel suo film, purtroppo non si hanno certezze. Eppure, qualche ipotesi può facilmente essere fatta.

Se, infatti, pensiamo al cinema italiano dell’epoca, vediamo come il genere del peplum (o, comunque, lungometraggi a carattere epico) era tra i prediletti tra i produttori cinematografici dell’epoca. Basti pensare, giusto per citare il più celebre di questi titoli, a Cabiria di Giovanni Pastrone (1915), che grande successo aveva riscosso anche all’estero.

Per quanto riguarda la figura di Sansone, inoltre, numerosi sono i film italiani prodotti in questi anni in cui questi era il protagonista. Giusto per fare qualche esempio: Sansone e la ladra di atleti (Amedeo Mustacchi, 1919), Sansonette e i quattro Arlecchini (Giovanni Pezzinga, 1920), Sansone e i rettili umani (anch’esso diretto da Amedeo Mustacchi nel 1920) e a Sansone l’acrobata del Kolossal (Adriano Giovannetti, 1920). Che ne Il Mostro di Frankeinstein sia stata inserita la figura di Sansone, dunque, stupisce poco, soprattutto se si pensa che quest’ultimo era considerato a tutti gli effetti il simbolo della forza e della vittoria del bene sul male (oltre a rappresentare, se vogliamo, anche un ottimo strumento di propaganda pro bellica (dato anche – e soprattutto – il nascente fascismo).

In poche parole, ci troviamo di fronte a un prodotto più unico che raro. Sul perché, tuttavia, a oggi non si sa nulla di che fine abbia fatto la pellicola, si possono fare soltanto alcune ipotesi.

La più accreditata tra queste, sembrerebbe il fatto che, data la sua natura, Il Mostro di Frankenstein sia stato considerato quasi diseducativo e per questo definitivamente ritirato dalle sale e distrutto. Ma, ovviamente, queste sono soltanto supposizioni.

Fatto sta che è un vero peccato che un’opera del genere non sia più reperibile. Almeno, però, la sua esistenza può essere ancora in qualche modo testimoniata.