Secondo Tolstoj, le narrazioni fondamentali sono solo due: una persona in viaggio e uno straniero che arriva in città. Due uomini, quattro donne e una mucca depressa, commedia diretta da Anna Di Francisca, in sala dall’8 giugno, rientra perfettamente nella seconda categoria.
Lo straniero in questione è il musicista romano Edoardo Levi (Miki Manojlovic) che, fuggito dalla città per un periodo sabatico, si ritrova suo malgrado a dover dirigere il coro parrocchiale nel paesino della Spagna del sud dove vive il suo amico Emilio (Edurad Fernandez). La presenza dell’artista italiano e la sua volontà di abbandonare un repertorio sacro a favore di uno profano porteranno alla luce amori, segreti e gelosie, in particolare tra le quattro donne del titolo: Julia (Maribel Verdu), che sogna di diventare una cantante, Victoria (Laia Marul), agente di viaggio tiranneggiata dal padre generale franchista(Hector Alterio, bravissimo), Manuela (Gloria Muñoz) energica cinquantenne alle prese con i sensi sopiti del marito, e Sara (Manuela Mandracchia), massaggiatrice che non riesce a vivere appieno la propria omosessualità. L’esperienza servirà sia al protagonista che ai suoi coristi per superare le situazioni di stallo in cui si trovano e dare un nuovo corso alle proprie vite.
Dirigere un coro non è cosa semplice: bisogna scegliere bene i cantanti, sfruttare pregi e debolezze di ognuno, posizionare al posto giusto le varie voci nascondendo in ultima fila chi muove solo le labbra e mettendo in bella vista tenori e soprani. Una perfetta metafora del lavoro del regista, impegnato ogni volta che dirige un film (il verbo è lo stesso che si usa in musica, e non è un caso) a cercare di dare armonia e uniformità a quello che in realtà è un insieme di elementi molto eterogenei.
Bacchetta alla mano, la Di Francisca dichiara subito le sue intenzioni: girare una commedia dal respiro internazionale, più vicina a quelle spagnole e francesi che alla tradizione della commedia all’italiana. Un esperimento interessante che non riesce però a sollevarsi da una quieta medietà, In questo film si ride poco, ci si emoziona poco, si partecipa poco, toccando tanti temi senza approfondirne nessuno. È così che la metafora del canto come mezzo per scoprire la propria “vera voce” (buono il lavoro sulle musiche fatto da Paolo Perna) finisce per disperdersi in una sceneggiatura poco incisiva, stracarica di personaggi e situazioni, che fatica a trovare una sua intonazione. Anche della nota anticlericale che attraversa la storia non rimane altro che un lontano eco in sottofondo, appena percettibile e troppo flebile perché possa colpire davvero.
Il doppiaggio italiano, pur avvalendosi delle voci di attori come Massimo Popolizio e Antonio Catania, non aiuta certo a dare ritmo ai dialoghi del film, incappando nell’inevitabile nonsense delle pellicole in cui personaggi italiani parlano senza capirsi con altri personaggi… che parlano italiano. A parte questo e nonostante alcune scelte di cast rischiose che potevano risultare stonate, come quella di affidare al serbo Miki Manojlovic il ruolo dell’italiano o al nostro Neri Marcorè la parte dello spagnolo, sono proprio gli attori la parte migliore del film, capaci di rendere simpatici e vitali i loro personaggi.
Tanti bravi solisti non fanno però un coro, e quello che sembra essere mancato a Quattro donne, due uomini e una mucca depressa è una direzione più decisa, capace di accordare le diverse voci e di dosare accenti e situazioni. In questo modo, una commedia che sulla carta avrebbe potuto essere pungente finisce per risultare invece assolutamente innocua.