Prendete il sarcasmo di Boris – La serie, la regia e la sceneggiatura di Mattia Torre, uno dei creatori della “fuoriserie italiana”, aggiungete Valerio Mastandrea, mescolate in un ospedale popolato da personaggi simpatici e a tratti grotteschi, da medici sopra le righe, da infermiere toste e senza filtri e poi lasciate riposare per 8 episodi e non avrete come risultato Gli occhi del cuore, il medical drama spazzatura sul quale si incentrava Boris, ma la nuova fiction targata Rai1: La linea verticale.

Il nuovo prodotto della rete nazionale porta una ventata di freschezza e originalità nel palinsesto spesso monotono della TV generalista, infatti La linea verticale è concepito pensando fuori dagli schemi canonici del genere ospedaliero trattando temi delicati come la malattia e la lunga degenza con l’ironia e le situazioni tipiche della commedia, non con le atmosfere e i tempi melodrammatici e addolorati ai quali il pubblico è da anni abituato (a tal proposito basta citare Braccialetti rossi).

Tra le righe dello script di Mattia Torre si può leggere che una risata seppellirà il dolore e allevierà la paura della morte che inevitabilmente si fa strada nell’animo di Luigi, interpretato da Valerio Mastrandrea, quando scopre, dopo un controllo, di avere un tumore al rene e quindi di doversi sottoporre ad un delicato intervento chirurgico. L’incertezza della situazione travolge il protagonista insinuando in lui anche la preoccupazione dell’eventualità di abbandonare per sempre la moglie incinta (Greta Scarano) e la figlioletta.

Ispirato all’esperienza personale di Mattia Torre, regista e sceneggiatore teatrale e televisivo, e tratta dall’omonimo libro, La linea verticale racconta l’ospedale dal punto di vista di Luigi che, attraverso un monologo/flusso di coscienza, descrive la difficoltà della routine nella vita dei reparti calibrando e fondendo battute e ironia con una buona dose di angoscia e di ansia.

La dimensione dell’ospedale è popolata da infermieri che lavorano sodo, nonostante la loro importanza spesso non venga riconosciuta, da dottori apparentemente indifferenti alle esigenze dei malati e portatori di speranza o di disperazione e dai “luminari” dispensatori letteralmente di vita o di morte, come il fantomatico e osannato chirurgo Zamagna (Elia Schilton) che opererà Luigi. In questa cornice del purgatorio non possono ovviamente mancare le anime in pena cioè i degenti, figure abbandonate senza distinguo di reddito e di posizione lavorativa, poste tutte sullo stesso piano destrutturando e cancellando le loro identità fuori dal reparto.

Mattia Torre imbraccia ancora il sarcasmo e la schiettezza di Boris, non raggiungendo però i picchi di grottesco e politicamente scorretto, e punta tutto sulla veridicità delle situazioni, evitando risvolti improbabili e dialoghi stucchevoli tipici di tanti medical drama che hanno invaso negli anni le nostre emittenti. Il merito di questa fiction sta nel mostrare con leggerezza la vera faccia della sanità: la vita quotidiana di chi è costretto dalla malattia a cercare di sopravvivere in un ospedale e la missione di chi sceglie di dedicare la propria esistenza ai degenti.

La visione, senza marcare la mano sul cinismo, si abbandona quindi a momenti toccanti ma mai morbosi, nei quali tutti possono rispecchiarsi: Luigi che piange guardando un video della figlia che gli dedica una canzone, la moglie che lo prega di non morire, lo sconforto che prende i pazienti durante le lunghe notti insonni. La sera a una certa ora le luci del reparto di colpo si fanno più basse, come in un volo intercontinentale quando è notte. E di notte in ospedale per qualche motivo cresce la rabbia, riflette Luigi.

Valerio Mastandrea con il suo volto emaciato e sofferente, con le paranoie che tormentano tutti i malati è l’immagine autentica di ognuno di noi di fronte alla prospettiva della morte, davanti alla consapevolezza di voler disperatamente continuare a vivere e al disorientamento dato dai pochi appigli . 

Insieme all’attore romano sono presenti tanti volti “familiari” a Torre: l’ex Biascica Paolo Calabresi è Don Costa, cappellano dell’ospedale, Ninni Bruschetta, finito di “smarmellare” i set di Renè Ferretti, interpreta il Dottor Barbieri, sempre goliardico ma di gran lunga più professionale di Duccio; Antonio Catania è lo stralunato dottor Policari appassionato di musica e infine Giorgio Tirabassi interpreta il proprietario di una trattoria ricoverato da tempo, con la passione per la medicina, che va in giro per il reparto a dispensare consigli più o meno attendibili.

La linea verticale si inserisce nel progetto di ammodernamento dei prodotti televisivi intrapreso da Rai che, come dimostra anche Sirene, punta ad un pubblico più giovane ed eterogeneo, ingraziandoselo con sceneggiature più attente e curate e con una messa in scena più accattivante.