Ad un mese dalla sua uscita, One Piece è sulla bocca di tutti.
Il live action di Netflix è una serie di otto episodi di circa 60 minuti ciascuno diretta da Matt Owens e Steven Maeda e che adatta il celebre manga di Eiichirō Oda, autore e mangaka dell’opera giapponese che ha il suo posto d’onore nell’immaginario collettivo anche in Italia.

Sia se tu sia in pari con i volumi del manga o delle puntate, sia se tu conosca a memoria solo la sigla di Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, la ciurma dei Pirati di Cappello di Paglia è indimenticabile.

La serie è tutt’ora in Top 10 sulla piattaforma streaming ed è considerata un successo su molti fronti, mentre per altri c’è un margine di miglioramento, soprattutto se paragonato all’opera principale.

Nel proporvi questa recensione, sarebbe opportuno che facessimo tutti un passo indietro e ci “dimenticassimo” almeno per un momento la saga animata, per evitare anche paragoni ingiusti e soprattutto per rendere più “democratica” la fruizione della serie tv, che può essere gustata anche senza aver mai visto un episodio dell’anime.

Per citare il canale di recensioni CicaCix, “One Piece funziona sorprendentemente bene riuscendo a ottenere le cose veramente importanti – come un forte senso del luogo e sequenze d’azione che sembrano organiche – nel modo giusto”.

Ed è da questa considerazione che vorrei partire, per valutare One Piece come un viaggio di formazione in un mondo fantastico. Ma prima, vediamo insieme di cosa parla la serie. 

One Piece, la sinossi del live action Netflix 

Ambientato in un mondo plasmato da miti, mostri e una pirateria dilagante e spavalda, One Piece racconta la storia di come un ragazzo incrollabilmente ottimista di nome Monkey D. Luffy (Iñaki Godoy) decide finalmente di realizzare il sogno di una vita, ovvero diventare il re di tutti i pirati. 

Dopo anni in cui gli è stato detto che non ha quello che serve per navigare in alto mare e cresciuto come orfano da una piccola comunità di predoni benevoli come Shanks (Peter Gadiot), Luffy dimostra tigna da vendere e continua imperterrito a sognare e ad imitare quello stile di vita spavaldo tipico dei pirati.

La sua sfacciataggine è dovuta anche dai suoi poteri, che acquisisce dopo aver impulsivamente mangiare il Frutto del Diavolo: Luffy, infatti, ha un corpo di gomma che si allunga e che resiste anche ai proiettili.

La prima stagione di questa serie (perché ne arriverà una seconda) ruota attorno a un Luffy “cresciutello” intento a cercare i membri della sua ciurma e insieme si dirigono verso la Rotta Maggiore alla ricerca del leggendario tesoro noto come “One Piece“.
Tuttavia, essendo un pirata alle prime armi, Luffy si muove goffamente ma con una grandissima autostima e saranno Nami (Emily Rudd), Zoro (Mackenyu Maeda), Sanji (Taz Skylar) e – un po’ meno – Usopp (Jacob Romero Gibson) ad aiutarlo nel suo intento.

One Piece, la recensione senza l’ombra dell’opera prima

Come anticipato precedentemente, vorrei affrontare One Piece come un’ unità a sé stante.
Gli otto episodi, bisogna dirlo, seppur frettolosi in alcuni punti, funzionano bene perché restituiscono allo spettatore un’identità precisa del mondo fantastico di One Piece, e la sensazione è quella di star vedendo un simpatico viaggio dell’eroe per bambini e preadolescenti, complice – forse –  l’assenza di temi come il sesso che in live action precedenti è stato pesantemente inserito (Fate: The Winx Saga, anyone?).

Questo non per dire che parlare di sesso sia necessariamente solo per adulti, ma perché c’è proprio quell’assenza di feticizzazione sia dalle inquadrature, sia nel definire i personaggi e le loro relazioni.

Il sesso, infatti, è un espediente narrativo abusato da molte serie tv che è di sicuro importante nel capire chi si è, ma sicuramente non l’unico modo per affrontare sullo schermo la crescita personale.

Ciò rende piú fresca la narrazione di One Piece e dall’altro la rende più accessibile a pubblici molto giovani. Seppur non manchino dei momenti più cupi, tra i quali l’esplorazione dei traumi infantili e delle perdite esposti con la tecnica del flashback, c’è un’aria di giocosità che galleggia nei dialoghi dei personaggi e nei loro sogni.

Questo è dovuto anche alla natura caricaturale dei protagonisti e degli antagonisti, che spesso non sembrano mai cresciuti e hanno ancora dei conti in passato o qualcosa da risolvere.

Tale impostazione facilita un processo di immedesimazione: i personaggi sono tutti “tipi tosti” e ognuno di loro lo esprime diversamente.
Guardare One Piece è un po’ come fantasticare tra personaggi comunque molto “riferibile”, soprattutto se si è giovani.

Ma voglio sottolineare il focus sugli adolescenti perché, anche se l’etá non è mai stata esplicitata, i personaggi dovrebbero essere tutti nei loro ultimi anni da teenager. E questo è molto compatibile con l’impulsività, le scelte poco mature che prendono e le risposte poco ponderate, che rispondono perfettamente al tipo di maschera e scudo che si sono costruiti negli anni per proteggere il loro “bambin* interiore”.

A tal proposito, i personaggi di Nami e a Zoro, che apparentemente dovrebbero essere i più maturi, sono molto impulsivi e preferiscono rimanere fermi sulle loro credenze fino a farsi male: non viene troppo difficile pensare che i loro obiettivi suonino come dei capricci, sia quando Zoro vuole assolutamente combattere Mihawk (Steven John Ward), sia quando Nami vuole combattere dei mafiosi uomini-pesce tutto da sola, senza mai pensare per un momento di doverlo dire almeno alla sorella non di sangue Nojiko (Chioma Umeala).

In questo senso, la serie tv è un vero e proprio viaggio di formazione che vede come pian piano si sgretolano tutte le certezze dei personaggi che non sono del tutto cresciuti.

Eccezione è proprio il protagonista Luffy, che ha anche lui un passato irrisolto che cela dietro un sorriso, ma lui è l’unico che cerca aiuto e dimostra affetto e non ha paura di farlo. Nel suo essere “bambinone”, in un certo senso è il personaggio piú maturo e completo e che ha trovato una risposta positiva ai propri traumi. 

Dal punto di vista tecnico, il live action non è perfetto soprattutto nella velocità, poiché avrebbe avuto maggior senso, con un prodotto del genere, prendersi più tempo per restituire un mondo fantastico con le sue caratteristiche e i suoi problemi. Così facendo, l’adattamento avrebbe avuto il peso di una saga.

Trovo, infatti, che i personaggi di Sanjii e Usopp meritino un ulteriore approfondimento nella seconda stagione e che il personaggio di Coby (Morgan Davies) che è molto presente, meritasse anche lui un flashback, per inserirlo al meglio nella storia.

A tal proposito, un approfondimento sulle storie dietro le volontà degli antagonisti (utilizzando anche qui dei flashback) e sull’astio degli uomini pesce sarebbe stato gradito: si poteva esplorare anche il tema della discriminazione razziale mostrandolo, e invece la situazione si è risolta in One Piece attraverso un breve dialogo di Aarlong, il terribile capo degli uomini-pesce, non rispettando assolutamente la regola dell’audiovisivo che dice “show, don’t tell”.

Per quanto riguarda la CGI assolutamente nulla da dire: non trovo assolutamente che sia un pugno in un occhio come descritta da molti e si intreccia molto bene grazie a un buon uso di riprese in loco (molte scene sono girate in Sud Africa e nel primo episodio Sheltz Town è in realtà Positano, Loguetown è Sorrento e le locandine della serie riprendono il profilo costiero di Amalfi), evitando dove possibile green screen e usando molte ricostruzioni di set e prostetiche. 

Mettendo così tanto impegno nella scenografia e popolando le scene con un sacco di stravaganti personaggi di sottofondo, One Piece è in grado di sembrare un luogo vivo con una storia in cui puoi entrare, luogo in cui la serie tv è davvero in grado di brillare per le scene di combattimento fantasticamente coreografate su una colonna sonora coinvolgente, che ti incollano allo schermo senza annoiarti e senza far incrociare gli occhi.

In conclusione, One Piece resta godibile anche per quelli che non amano il fantasy un po’ perché è tutto talmente naturalizzato (l’uso delle luci naturali aiuta molto in questo caso!) che non sembra di star vedendo qualcosa di diverso, ma resta lo stupore dato dai piccoli dettagli come il telefono-lumaca o la corporatura aliena di qualche personaggio. 

C’è anche un dialogo tra diversi generi, infatti l’atmosfera cambia spesso e, come nel caso della storia di Kuro e Usop, si sfruttano elementi thriller e horror per mostrare sullo schermo mistero e inquietudine.

Insomma, One Piece è un bel prodotto da vedere.