Quando si pensa alla cinematografia italiana il primo genere che salta alla mente non è quasi mai l’horror, c’è la commedia, il dramma, il sole tipico del Belpaese che illumina la pellicola…eppure, a metà anni ’50 quel sole si era già oscurato, lasciando spazio a toni ben più cupi di una palette dal sapore gotico. Primo tra tutti, apripista di un genere che riempie le tasche oltreoceano, ma che in Italia sembra restare nascosto nel suo stesso buio, è Riccardo Freda. Celebrato all’estero, soprattutto in Francia dove si affollavano i suoi ammiratori, Freda è rimasto tra le trame di quel cinema del passato, quel cinema impegnato che col tempo si è fatto cinema d’elite, il preferito dei cinefili, ma quasi dimenticato dal grande pubblico.

Un uomo solo. Un uomo solo per carattere.

Così il critico cinematografico Jacques Lourcelles definiva Riccardo Freda, tra le pagine della prima monografia dedicata a questo grande regista italiano; “solo” perché se il suo paese non era pronto per horror firmati da nomi italiani, allora Freda il nome se lo cambiava, grazie a pseudonimi più musicali che accanto a nomi altisonanti come Hitchcock non “sfiguravano”.

La maggioranza, però, non ha sempre ragione…e per fortuna! E se la critica del tempo non gli ha dato il giusto plauso, oggi è ancora un buon momento per riscoprire la sua immensa ed eterogenea filmografia.

L’orribile segreto del dr. Hichcock: trama del film di Freda

Londra, il dr. Hichcock, Robert Flemyng, non opera come gli altri, no, lui usa uno speciale anestetico di sua invenzione, a lavoro e a casa. Sì perché il film di Freda unisce medicina, necrofilia e incubo, in un cupo vortice che rende l’intero set come fosse uscito da un brutto sogno.

Il dr Hichcock è solito iniettare questo misterioso anestetico alla moglie Margaretha, ma non per curarla, solo per portarla in uno stato catatonico che riproduce fedelmente le fattezze della morte, così da poter consumare il suo amore perverso. Basta un dosaggio sbagliato e quello stato di simil morte, un giorno, si trasforma in morte a tutti gli effetti. Il dottore, sconcertato e sopraffatto dal dolore, si allontana da quella casa tetra per cercare di dimenticare ciò che ha fatto; ma se i vivi, a volte, dimenticano i morti, questi ultimi sembrano far più fatica a fare lo stesso e, quando 12 anni dopo il dr. Hichcock torna in quella casa con la sua nuova consorte, Barbara Steele, ad aspettarli non c’è solo la vecchia governante ma anche lo spettro della sfortunata prima moglie.

Tutto è angosciante: i vecchi ritratti di Margaretha che invadono le pareti, il mobilio, i continui temporali che fanno da colonna sonora ad una casa cupa e spettrale che nasconde, da anni, un mostro e la sua storia.

La Steele, con i suoi grandi occhi perennemente spalancati, è la protagonista di questo tenebroso crescendo di paura, dove tutto sembra essere contagiato e complice del suo lucido delirio. È proprio la fotografia di Masciocchi che qui gioca un ruolo fondamentale, riuscendo a rendere ogni ambiente distorto, spettrale, quasi fumoso, a metà tra reale e immaginato, come a riflettere su ogni oggetto, volto o parete, le fattezze di quel mostro vestito da dottore.
Perché, per chiudere con le parole di Riccardo Freda:

Non ci sono veri e propri mostri, né mostri orribili, se non nella natura umana. Credo che ciascuno di noi sia un potenziale mostro.