Ancora Festa del Cinema di Roma 2022 ma stavolta con Bassifondi, opera prima del regista Francesco Pividori, scritta insieme ai fratelli D’Innocenzo, sulla Roma degli ultimi.

Addio alla Roma monumentale e patinata de La Grande Bellezza, alle luci, le feste e i poteri forti, quella di Bassifondi è la Roma undergroung, quella delle rive sporche e sbagliate del Tevere fatte di topi, di notti passate sui cartoni e del grande niente.

Romeo e Callisto infatti non hanno niente e spesso neanche la voglia di chiedere quello spiccetto per fare colazione, o per vivere.
La macchina da presa li segue continuamente, in una ripresa ossessiva di quella vita che nessuno vede o vuole vedere, li segue elemosinare, mangiare, picchiarsi, drogarsi e vivere di espedienti che rendono sempre troppo poco.

Narrazione e messinscena sono crude, sfacciate, e per nulla edulcorate, la storia di Bassifondi infatti ha un sapore fortemente documentaristico, che rievoca Amore tossico di Caligari, con il suo sguardo stretto su quella vita ma sempre senza alcun giudizio.
Questa è e questa viene mostrata.

I due protagonisti, profondamente diversi ma finiti a vivere la stessa vita, rappresentano due volti della stessa triste medaglia; c’è chi ha perso tutto ed è finito per strada, e chi nei bassifondi sembra averci sempre vissuto. Uno silenzioso e sensibile, l’altro istrionico, sboccato e sempre in movimento, quasi fosse un. Romeo e Callisto sono due invisibili, due senzatetto, ma soprattutto due uomini che finiscono a prendersi cura l’uno dell’altro perché la vita è andata così. Sono due ma che rappresentano un mondo intero: quello degli artisti di strada, dei cartomanti, degli zingari coi fuochi accesi, dei centurioni sudati che chiedono foto, la Roma di strade sporche e dimenticate.

Nato da un racconto scritto da Francesco Pividori, all’età di 17 anni, Bassifondi aspettava da tempo di essere raccontato così com’è nato, guardando i personaggi negli occhi e mai dall’alto, semmai solo dal basso, con la prospettiva del topo, quello da cui tutti scappano, che nessuno vuole vedere o sapere dove andrà. E di animali nel film ce ne sono parecchi: cani, asini e proprio i topi, che Callisto accarezza e chiama “amore mio”, come fossero piccole creature incomprese, proprio come quei protagonisti per cui provare anche tenerezza.

Niente è lasciato all’immaginazione, tutto viene mostrato nei minimi dettagli, quasi fino ad odorarla quella vita sporca e stropicciata, tanto che la sceneggiatura sembra sparire in favore di una realtà senza costruzioni.
Pividori, anche detto Trash Secco, col suo primo lungometraggio mette i piedi nel naturalismo, nel cinema vero senza filtri, che sa quando farsi brutto e quando bello.