La rassegna dei titoli della Festa del Cinema di Roma continua con Rapiniamo il duce, il nuovo italianissimo film che rilegge la storia in chiave simpatica.
Dopo Freaks Out di Mainetti, che aveva fatto chiacchierare un po’ tutti, l’Italia torna a cimentarsi con un film di genere: Rapiniamo il duce di Renato De Maria, regista reduce dall’esperienza Netflix con Lo Spietato, col volto crucciato di Riccardo Scamarcio.
La storia si ripete, perché De Maria trova ancora un porto sicuro nel grande mare di titoli Netflix e quindi niente sala, Rapiniamo il duce arriva il 26 ottobre, solo in streaming.
Chiariamo subito che la storia del film non è un evento realmente accaduto, il fascismo e la guerra sono il pretesto da cui prendere spunto per poi sviluppare la narrazione in tutt’altra direzione, lo si capisce già dalla musica d’apertura, con Se bruciasse la città di Massimo Ranieri, che descrive al pubblico il mood del film e il non camminare sempre sulla esatta linea temporale degli eventi.
Il background è la seconda guerra mondiale, Milano brucia per davvero, ma quella che stiamo per vedere è una commedia, action sicuramente, ma che più che altro vuole divertire. Insomma, come dice uno dei personaggi del film “Fanculo la storia“, quindi è inutile mettersi a cercare nei manuali le giuste date, le reali ambientazioni, i personaggi esistiti o quant’altro, perché non li troverete, quello di De Maria è un film che intrattiene, diverte e nasconde, più o meno, i lati più bui di quel periodo.
Aldilà dell’accuratezza storica, il conflitto resta sullo sfondo, come anche il duce che si “mostra” solo con video, ritratti, mezzibusti e cartelloni, in un contesto che probabilmente non si vuole neanche approfondire.
Rapiniamo il duce, infatti, è il racconto di una Milano sfinita e martoriata agli ultimi giorni di guerra. Una città bombardata e impaurita, tenuta viva solo da flebili speranze e bizzarri sogni di riscatto, come appunto quello di rapinare il duce.
A compiere l’impresa impossibile sarà una banda messa in piedi all’ultimo minuto, capitanata da Isola, ladro col volto di Pietro Castellitto, che uscito da Freaks Out dimostra che in questo genere ha trovato il suo spazio; al suo fianco Yvonne, Matilda De Angelis, cantante che cerca di sopravvivere come può, aspettando la fine della guerra, un po’ facendo l’amante di Borsalino, il cattivissimo quanto bravo Filippo Timi, e un po’ sperando di cambiare il suo destino con Isola. Il tesoro di Mussolini, fatto del triste oro preso dal popolo, tra fedi nuziali e collane di perle, è l’oggetto del desiderio di questo gruppo di strampalati, tra ladri e anarchici, come Tommaso Ragno, e chi con la guerra non vuole averci a che fare, come Maccio Capatonda, nei panni di Giovanni Fabbri, campione della Mille Miglia che ha il compito di guidare, letteralmente, le fughe e le corse tra i proiettili. Un gruppetto di personalità, dove alcune spiccano decisamente più di altre, una banda per modo di dire, come lo era quella di Giallini in Non ci resta che il crimine, sgangherata sì, ma in abiti d’epoca che restituiscono il fascino del tempo.
Da qui parte Renato De Maria per costruire il suo film, un colpo impossibile, una banda improbabile e una storia probabile, come dice la scritta in apertura della pellicola “Questa è storia vera. Questa è storia, quasi.” Ed è proprio quel quasi che guida tutto il film.
Questo cartoon, questo racconto fumettistico, che pesca a piene mani dalla storia del cinema, si riempie di citazioni cinematografiche, musicali ed estetiche, il tutto condito in salsa pulp. Insomma, c’è Isabella Ferrari con la sua Nora, ispirata al grande divisimo del cinema muto italiano, che vuole essere un po’ Norma Desmond di Gloria Swanson e un po’ la Marlene Dietrich de L’angelo azzurro, impellicciata e aggrappata ai tempi andati che rivive continuamente nei suoi vecchi film gloriosi.
C’è il grande legame tra cinema e fascismo, visto come un nero che pervade qualsiasi cosa, tutto stipato nel locale fumoso chiamato proprio Cabiria, pieno di spie naziste e fascisti intrattenuti dalla musica di Yvonne, una De Angelis che torna a cantare sullo schermo con una bella versione di Amandoti dei CCCP.
C’è un po’ tutto in queste immagini sature e traboccanti di dettagli, personaggi e musiche.
Il lato visivo è predominante, infatti si punta moltissimo sulla forma con colori vividi super pop, dati anche dalla fotografia di Gian Filippo Corticelli e la musica non è da meno, con la colonna sonora di David Holmes, lo stesso di Ocean’s Eleven, a cui chiaramente Rapiniamo il duce s’ispira, anche se rimane solo nelle intenzioni.
Un film che tenta una strada ancora poco battuta nel nostro paese, ma che a volte scivola in una trama molto semplice e senza troppi colpi di scena. Inutile, quindi, ogni paragone, già sulla bocca di molti, con il Tarantino di Bastardi senza gloria, parliamo di un titolo Netflix che si propone più che altro di divertire il grande pubblico, quella grande platea a cui la piattaforma streaming si rivolge.
Rapiniamo il duce è quindi un prodotto che rispetta la nicchia in cui va ad inserirsi, un film d’intrattenimento riuscito, che guarda ai grandi facendo poi di testa propria, proprio come farebbe il suo protagonista Isola.
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