A Venezia81 arriva Vermiglio di Maura Delpero, una pellicola corale che si installa sulla lunga coda della Seconda Guerra Mondiale tra le Alpi del Trentino. La regista, al suo secondo lavoro, porta sullo schermo dinamiche di una vita familiare lenta, ma mai scontata.
Con l’ausilio dell’espressivo cast, nel quale fa parte anche l’eterno trasformista Tommaso Ragno, Maura Delpero racconta le scelte di vita dei componenti della famiglia Graziadei, senza alcun fanatismo o nostalgia per il passato, al contempo non rinunciando a ritrarre momenti di estrema dolcezza.
La produzione di Vermiglio è a cura di Cinedora e Rai Cinema, in coproduzione con Charades production (Francia) e Versus production (Belgio) e la programmazione nelle sale italiane è prevista a partire dal 26 Settembre 2024.
Vermiglio, la sinossi della seconda opera di Delpero
Vediamo da subito la famiglia Graziadei, dalla routine mattiniera all’illustrazione del padre di famiglia, un maestro elementare che insegna anche ad adulti, un uomo di cultura che si presenta come una figura severa, ma mai tirannica.
Tre sorelle, quattro fratelli e un neonato, una zia, una madre e un padre navigano nelle stagioni della vita, ma qualcosa cambia quando un cugino disertore arriva con il siciliano Pietro, anche lui scappato dall’esercito, che porterà amore e complicazioni, nel momento in cui Pietro chiede la mano di Lucia, la figlia maggiore del maestro.
La scrittura di Delpero merita di essere lodata
La coralità del film spinge a vivere ogni punto di vista intensamente, perfino quando ciò che viene mostrato potrebbe risultare così lontano.
E questo avviene perché Maura Delpero non celebra, anzi è obiettiva con ciò che succede nello schermo. Dà modo di far capire allo spettatore esattamente su cosa riflettere in quel momento, senza dover essere necessariamente didascalica, tantomeno gratuitamente cattiva.
Anzi, tutt’altro. E si percepisce ciò con il dialogo ingenuo ma mai fuori posto, che trasuda calore e colore, anche nelle scelte più difficili e nei momenti di rabbia o disperazione.
La scrittura in Vermiglio è da lodare, perché c’è tridimensionalità in ogni battuta e in come prende piede la storia, lo spettatore non può che incontrare angoli che connettono lati diversi del personaggio, come il maggiore dei fratelli che si ribella al padre e si isola e beve per placare la rabbia, ma che non manca mai di essere dolce e attento con le sue sorelle, i fratellini e la madre.
La regista, nel ricordare e rielaborare un certo passato vicino ai suoi cari, confeziona uno spaccato di Italia che, seppur con i suoi problemi e arretratezze, non cede al cinismo e fa spazio ad ogni carezza.
Tra la molteplicità dei pov, in Vermiglio spicca la dinamica delle tre sorelle e tutto ciò che le concerne: si nota come l’elemento straniero che porta scompiglio costringendole a crescere.
Per Ada, è la scatenata Virginia e la scoperta della sua sessualità che si scontra con la forte fede cattolica, per Lucia è il suo primo amore Pietro e la depressione post partum e per Flavia è il cambiamento delle sorelle maggiori, un nuovo trattamento di favore da parte del padre e il primo mestruo.
Eppure, nonostante tutto, per queste ragazze la regista e sceneggiatrice non ha pensato alla disperazione o a riproporre vecchi stereotipi da vittima delle circostanze e passive, al contrario le fa reagire e ottenere un nuovo modo di vivere, un’ agency guadagnata.
Ciliegina sulla torta? I paesaggi, la fotografia, la guerra che riecheggia senza mai palesarsi in maniera violenta? Sicuramente, ma il cuore lo ruba il piccolo Nino, con il suo dialetto trentino e la sua amabile curiosità.