Non stupirà gli spettatori più attenti e consci della complessa realtà politica e culturale cinese sapere che One Second, l’ultima opera di Zhang Yimou, abbia dovuto superare enormi problematiche per venire alla luce.
Ufficialmente si parlò di “difficoltà tecniche”, una formula neutrale con cui coprire in realtà quanto il tema e la narrazione presente in questo film, fossero risultate indigeste alla ben nota censura della Repubblica Popolare Cinese.
Ed in effetti bisogna riconoscere che la Cina nord-occidentale degli anni ’60, quella che di lì a poco sarebbe stata travolta dalla nota “Rivoluzione Culturale”, è il palco sui cui il grande regista mette un po’ alla berlina il regime dell’epoca, fatto di miserie umane e materiali non da poco.
Per quanto ammorbidito da un tono leggero e sovente teneramente umorista, quest’umanissima storia di reietti e redenti nel “paradiso dei lavoratori” ambientato nel deserto più inospitale, stride sicuramente con l’immagine entusiasta e retorica che la propaganda per decenni ha cercato di donare di quel particolare periodo storico.

Protagonista è un giovane galeotto senza nome, interpretato da Zhang Yi, che sulla sua strada fa la conoscenza della giovane ed ostinata orfana Liu (Liu Haocun), sorpresa nel tentativo di rubare una pellicola di cinegiornali ufficiali.
Per entrambi, per motivi che per gran parte della trama ci restano ignoti, quel rullo di pellicola instabile e rovinata rappresenta qualcosa di preziosissimo, tanto che per ottenerlo non esiteranno a ricorrere ad ogni astuzia, bugia e sotterfugio, una volta giunti nella vicina città.
Qui, conosciuto il proiezionista locale (Fan Wei), pian piano si renderanno conto di essere entrambi vittima della miseria e della sorte, in un Paese privo di sbocchi e che obbliga ad obbedire da una retorica stantia e misera.
Sarà l’inizio di un complesso percorso di avvicinamento e redenzione per questi due paria nella Cina di Mao.
Zhang Yimou va in perfetta controcorrente a quel cinema gigantrofico con cui per tanto tempo ha affascinato il pubblico occidentale, creando una nuova via al kolossal declinata secondo i gusti e le idee d’Oriente. Qui invece il regista di La foresta dei pugnali volanti accarezza le note di una sorta di neorealismo placato, spietatamente tragico, dove regna però un’atmosfera dove l’umanità, i sentimenti, nonché l’ironia, trionfano su tutto.
One Second, è soprattutto un grande omaggio al cinema, alla sua forza vitale, a quanto esso abbia contato e continui a contare nel mondo, ogni volta che lo spirito o il corpo sono spezzati, ogni volta che attorno a noi tutto pare cadere e perdere vita.
La visione di un film è un rito collettivo, è fantasia che ci permette di dimenticare la realtà degradata, ma emerge in modo davvero intelligente e sensibile anche la sua forza come arma di propaganda, come flauto incantatore con cui stregare l’umanità. Zhang Yimou, in tale chiave di lettura, dimostra di tenere più in conto i sentimenti elementari ed universali, più che la razionalità, in un certo senso si affida al cuore dello spettatore come antidoto all’aggressività istituzionale.

Bellissimo a livello di regia, valorizzando in modo sublime la natura aspra, ostile e desertica della Cina più profonda e sperduta, ha nella calda fotografia del superbo Zhao Xiaoding un valore aggiunto da non sottovalutare, così come nella colonna sonora di Looudboy.
Tutti e tre questi elementi, rendono One Second un viaggio intimo suggestivo, una piccola storia tanto fantasiosa da essere assolutamente realistica per quegli anni, uno scrigno di emozioni universali.
Grande è il coraggio che questo cineasta mostra nel parlarci di un paese che ieri come oggi, unisce il coraggio della collettività alla tirannia di pochi contro molti, alla gabbia verso il libero arbitrio.
L’arte ci libererà? Dipende. Non tanto l’arte quanto l’occhio e l’intenzione con cui la si guarda e la si crea, ma più ancora la possibilità di renderla mezzo per la liberazione dell’anima, dell’esistenza, di un sentimento che Yimou fa viaggiare sulle ali del deserto, eterno spettatore di un dramma umano senza fine.