Mediterraneo di Marcel Barrena, coproduzione ispano-greca, è un film intimo, umile e coerente, che sfrutta appieno un budget limitato. Nonostante i fondi limitati Mediterraneo è perfetto nel mostrarci la miseria non puntando sull’effetto scenico o la facile reazione emotiva, ma sulla natura ontologica e semiotica di un dramma ormai scivolato nell’indifferenza generale.
Il protagonista è il burbero, intrattabile e scorbutico Oscar Camps (Eduard Fernandez) guardacoste professionista e titolare di un’azienda. La sua vita è un mare disastrato a causa il pessimo rapporto con la figlia e la quasi totale assenza di amicizie.
Pur non più giovanissimo, Oscar rifiuta di dedicarsi al lavoro d’ufficio, continua a stare seduto sul suo trespolo scrutando le onde del mare, che sulle coste turistiche spagnole sostanzialmente equivale alla noia.

La svolta arriva alla fine dell’estate del 2015, quando fa il giro del mondo l’immagine della foto del corpo del piccolo Aylan, riverso sulla spiaggia, plastica e orribile celebrazione del massacro che si consuma nel tratto di mar Mediterraneo conteso tra Turchia, Malta, Italia e Grecia.
Lì è dove si muore nel silenzio assordante del mare, lì e dove le Nazioni cosiddette libere, si rimbalzano la responsabilità, Oscar decide, con il solo e recalcitrante Gerard (Dani Rovira) a dargli manforte, di recarsi a Lesbo, per aiutare chi rischia di morire. Lo fa confrontandosi con un’ostilità dichiarata da parte delle forze dell’ordine e della Guardia Costiera dell’isola greca, dove ogni giorno arrivano decine e decine di disperati, paradossalmente più fortunati di chi è rimasto inghiottito dal mare.
Sarà l’inizio di un percorso di presa di coscienza e di attivismo. Non solo dal punto di vista materiale, ma soprattutto dal punto di vista umano e mentale: Oscar si trova a mettere in discussione se stesso, il suo mestiere, ma soprattutto abbraccia una responsabilità personale che diventa esempio universale.
Il film Mediterraneo, diretto da Marcel Barrena, al pubblico italiano potrebbe un po’ confondere le idee, dato lo stesso titolo del capolavoro di Gabriele Salvatores, oscar nel 1992.
In un certo senso, i due film potrebbero anche avere qualcosa in comune, se non altro il concetto di fuga, che qui però è una fuga reale, profana, disperata, da parte di quell’universo umano, che preme da sempre le nostre frontiere in ricerca di un futuro migliore.
Open Arms, nome famigerato ha gli occhi dei sovranisti e dei populisti di destra di tutte le nazioni, ci viene mostrato come una creatura nata dalla pura forza di volontà, dall’idealismo che oggi molti di noi hanno rinnegato, in nome di un egoistica e misera visione del mondo.
Non tutto funziona in questo film, la narrazione alla lunga risulta essere più televisiva che cinematografica, nonostante Fernandez e il resto del cast offrano una performance molto umana, molto immediata e mai retorica.

Lo stesso concetto di retorica in realtà resta molto più al latere di quanto ci si aspetti, qui vi è soprattutto la volontà di narrare una piccola, ma importante, storia vera dove ci viene mostrata non la maestosità del male, ma la minuta ed infaticabile essenza del bene.
Perché se è vero che siamo divisi da lingua, usi e costumi, è anche vero che siamo tutti esseri umani, e che lo stesso concetto di empatia, bene universale capace di abbattere ogni barriera, con il tempo lè stato rinnegato dall’ Occidente che ha alzando barriere culturali prima ancora che politiche e burocratiche.
Affiora in modo assolutamente convincente, la ferocissima critica verso l’Unione Europea, descritta come un semplice mercato finanziario, non certo come il crogiuolo di Popoli uniti da una visione universale di amore verso l’uomo, verso i propri simili, verso ciò che è giusto fare.
Mediterraneo non è un film così perfetto, anche dal punto di vista registico, ma di certo è un film coraggioso, un film onesto, un film incredibilmente coerente e necessario.
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