Taxi Monamour è una storia di destini che si intrecciano, il racconto di due donne molto diverse che condividono un passaggio e stringono un legame.
Presentata all’81esima edizione del Festival di Venezia nella sezione delle Giornate degli autori, la pellicola è scritta da Rosa Palasciano e Ciro De Caro e diretta da quest’ultimo.
Un racconto semplice ed efficace, caratterizzato da dialoghi mai verbosi e da una realistica quotidianità. Distribuito da Adler Entertainment, Taxi Monamour arriva nei cinema dal 4 settembre.

Anna (Rosa Palasciano) è una donna sulla trentina sempre in conflitto con la famiglia per la sua personale visione delle cose e non sa se le rinnoveranno la patente a causa di un grave problema di salute. Una sera, di ritorno dal lavoro, Anna incontra Nadiya (Yeva Sai) che fuggita dalla guerra in Ucraina, si è trasferita a casa di sua zia in Italia, ma desidera ogni giorno tornare nella sua terra. Entrambe sono pervase da una tristezza che le accomuna, si incontrano per pura casualità conoscendosi sull’auto di due ragazzi che offrono loro un passaggio. Da questo momento in poi inizia gradualmente a nascere un legame che, seppur per breve tempo, offrirà ad entrambe un’esperienza di libertà.

Taxi Monamour punta a raccontarci l’aspetto più intimo e personale di due donne estremamente diverse, eppure così simili.
Anna e Nadiya, la prima apparentemente estroversa che vive i suoi drammi sola con sé stessa, la seconda invasa da una perenne malinconia per una vita in cui non si identifica, sono accomunate dalla solitudine e da una vita quotidiana che ha un sapore di incompleto. Attraverso una storia che procede per buona parte su linee parallele, mostrando la routine delle protagoniste, veniamo accompagnati al un punto in cui convergono: un semplice passaggio che stravolgerà queste due esistenze.

Tralasciando fronzoli narrativi e interpretativi, De Caro resta fedele alla sua poetica confezionando un film che non ha bisogno di mettere in evidenza sentimenti e sensazioni umane attraverso le parole: bastano le interpretazioni di Palasciano e Sai a generarli.

Taxi Monamour procede nel raccontare per gradi e senza fretta, tanto che il rapporto tra le due donne si sviluppa con estrema naturalezza. La macchina da presa le segue e inquadra i loro volti spesso assorti e meditativi. Ogni sequenza è pensata per coinvolgere lo spettatore e farlo partecipe alla vicenda, c’è un uso della camera a mano che crea uno stato di coinvolgimento attivo ed esplica forte realismo.

Quest’ultimo è fondamentale per il regista che sembra tenere particolarmente alla semplicità tanto da affermare che il suo intento era proprio “un cinema fatto di sottrazioni, di cose che non si dicono, di cose che non si vedono per dare più forza a quello che non è in superficie. È un ulteriore passo verso la mia idea di cinema fatta di leggerezza e di cose non mostrate”.
L’attenzione per la “sottrazione narrativa e registica” è evidenziata anche con un utilizzo ponderato e discreto della musica che viene inserita come componente diegetica funzionale alla storia.

Se la solitudine viene percepita convenzionalmente come qualcosa di individuale, in Taxi Monamour assume una funzione collettiva o, meglio, unitaria che crea rapporti umani. Per dirla con le parole di De Caro: “un racconto in cui ci sono due solitudini che si incontrano. Ci piaceva l’idea di due persone provenienti da due posti diversi del mondo, coinvolte da una serie di coincidenze che portano queste due persone a incontrarsi.”