Le lettere hanno il grande potere di racchiudere al loro interno messaggi di qualsiasi tipo, d’amore, di nostalgia, di speranza. Hanno anche la capacità d’imprigionare momenti, istanti, senza farli mai sbiadire, ma solo acquietare man mano che il tempo passa. Ecco che allora, dopo anni, si riprendono in mano i lembi raggrinziti di un foglio di carta, e l’anima che muove l’inchiostro sembra non essere mai sfumata via, persino quando la lettera non esiste più. Catarina Vasconcelos con il suo La metamorfosi degli uccelli pone svariati interrogativi, senza dare troppa rilevanza alle risposte che, seppur implicite, si riescono a captare leggendo tra le righe.

La storia è frastagliata e allo stesso tempo profondamente interconnessa nei suoi vari elementi. Beatriz ed Henrique si sono sposati proprio nel giorno in cui lei ha compiuto 21 anni. L’uomo, un ufficiale della marina, passava lunghe fette della sua vita tra le onde del mare, su navi che sempre più assumevano l’aspetto di una dimora forzata. Beatriz, rimasta a casa per curare i suoi sei figli, sviluppa un sentito interesse verso la natura, le piante e la magia che in esse risiede. Così come il tempo, anche le vite dei componenti della famiglia passano inesorabili dinanzi ai loro occhi, in armonia con le scelte di vita dei singoli personaggi.

La metamorfosi degli uccelli è un film complesso da inquadrare, annettendo a sé svariate componenti come la nostalgia, l’onirico, l’amore e la paura.
Interamente girato in 16mm, è raccontato da voci fuoricampo, mai coinvolte nella mera descrizione dell’ovvia azione in schermo, ma piuttosto impegnate nella realizzazione di un quadro articolato dei pensieri intrinsechi a ciascun’anima messa in scena. Ciascuna personalità narrata ha delle aspirazioni, dei timori, anche vari sogni nel cassetto, che devono però fare i conti con l’asprezza della vita.

È un elogio alla figura materna, all’insostituibile affetto ed amore che una madre nutre nei confronti della sua famiglia. La parola “madre” contiene la lettera, o il suono fonetico, M nella maggior parte delle lingue del mondo.
Idee e storie risorgono di continuo in questo gioiello narrativo che, come se niente fosse, modella il tempo fino a farci tornare agli anni in cui, per tutti gli uomini, la migrazione degli uccelli appariva come un fenomeno indecifrabile e misterioso. Gli antichi credevano che i fanelli si trasformassero in tordi, i cuculi divenissero falchi, così da concepirli come un’entità unica.

Ad un certo punto della pellicola, il consiglio che viene lanciato è “quando non riesci a ricordare, inventa”.
Per lunghi tratti dell’opera, questo è ciò che Vasconcelos inscena magistralmente.
Il marinaio che passa la sua solitudine sulla nave tra lettere e ricordi, osservando il tatuaggio dei due genitori per non dimenticarne i volti. La famiglia in lutto seduta in modo talmente ordinato da necessitare del fumo di una sigaretta per far capire che non si tratta di una fotografia. Francobolli vecchi di decenni che riportano alla mente il colonialismo portoghese in Mozambico e Angola. Specchi che ritagliano scorci impossibili, che solo la fantasia saprebbe vedere. Le madri sono alberi, i padri sono i mari, e i bambini volano docili fra i due.

La metamorfosi degli uccelli è un meraviglioso susseguirsi d’immagini dense di significato, che da semplici astrazioni divengono delle dichiarazioni d’amore, piene di nostalgia e di dolore generazionale.