Negli ultimi anni folklore, religiosità cristiana, tradizioni pagane e antichi rituali sono ritornati sul grande schermo (e non) con differenti sfumature, da quelle horror di Midsommar (Ari Aster, 2019) a quelle pulp della serie Christian, un approccio ancora differente lo propone Roberto Zazzara con il documentario Carne et ossa dove, grazie ad un bilanciatissimo e contrastato bianco e nero, il regista abruzzese restituisce la suggestione e la solennità mistica di un rito antico e crudele: la Corsa degli Zingari che si svolge ogni anno a Pacentro in provincia de L’Aquila.

Carne et ossa è prodotto da Cristiano Di Felice e Veronica Naccarella, da IFA Scuola di Cinema nell’ambito del progetto IFA Glocal Film in associazione con Sulmonacinema, con il contributo di Regione Abruzzo, Comune di Pacentro, Ass. Corsa degli Zingari e sarà presentato in anteprima mondiale sabato 17 giugno al 50° premio Flaiano.

Carne et ossa di Roberto Zazzara: la trama

A Pacentro, un borgo arroccato tra i monti abruzzesi, da secoli si tiene una corsa unica ed estrema: a piedi nudi, gli uomini del paese si lanciano da un dirupo fatto di roccia viva, ghiaia e rovi e corrono giù fino al torrente, per poi risalire fino alla chiesa del paese.
E’ la Corsa degli Zingari (nel dialetto del paese zingari sta per scalzi), le cui origini si perdono nella Storia, ma è un rituale ancora oggi sentito e partecipato.

Una prova decisamente impegnativa e provante per il corpo (ogni partecipante riporta ferite più o meno gravi) che i coraggiosi cittadini di Pacentro affrontano per motivi spirituali o materiali o semplicemente perchè tradizione di famiglia.

Attraverso immagini di repertorio e interviste ai partecipanti alla corsa, assistiamo al racconto di un momento catartico, una sfida con sé stessi, ma anche con la natura.

Carne et ossa di Roberto Zazzara: il bianco e nero rivela l’essenza delle cose

In Carne et Ossa quello che colpisce immediatamente è il fortissimo, ma non stridente contrasto tra le immagini di repertorio a colori e il girato del documentario in bianco e nero. L’antinomia colore/bianco e nero resta solo apparente infatti il colore (con i “difetti” della tecnologia di ripresa del passato) quasi ci abbaglia riportandoci in una dimensione più reale e più carnale (dove avvertiamo il dolore dei talloni che letteralmente si aprono e la fatica dei partecipanti) e completa il bianco e nero che invece eleva tutto all’essenza più spirituale delle cose, alla religiosità e ad un forte legame con la tradizione.

Le immagini di Carne et Ossa riportano alla memoria quelle dei grandi fotografi italiani come Gianni Berengo Gardin o Ferdinando Scianna, come loro Roberto Zazzara va a ricercare la bellezza nel contrasto tra chiaro e scuro.

Nell’ombra, dove c’è il nostro mondo sconosciuto, Zazzara fa intravedere la religiosità e il misticismo di un rito di immolazione, struggente e sanguinoso. Nella luce invece si ritorna nella realtà e questo alternarsi crea una sorta di liquido poetico: l’oscurità penetrante e ammaliante ci attira e al tempo stesso inquieta rendendo indispensabile un ritorno verso lo stimolo del colore.

I precedenti lavori come direttore della fotografia di Zazzara sono lampanti nella ricercatezza usata nel costruire le inquadrature, cosa che rende Carne et Ossa un lavoro visivamente impeccabile, a tratti lirico, ma fermarsi all’immagine è riduttivo perchè l’essenza spirituale e umana del film potrebbe resistere al confronto con un monumento della storia del cinema documentaristico come L’uomo di Aran (Robert Flaherty, 1934).