Siamo all’inizio di questa diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma che, come ogni anno, monopolizza l’attenzione dei cinefili in tutta la capitale e non solo. Ad aprire le danze è toccato alla nuova pellicola diretta da Francesca Archibugi, vale a dire Il Colibrì, nuovo attesissimo lavoro con protagonista l’ormai onnipresente Pierfrancesco Favino. Ad accompagnarlo, un cast d’eccezione che conta anche Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante, Sergio Albelli, Alessandro Tedeschi e Benedetta Porcaroli, con le presenze a sorpresa di Massimo Ceccherini e di un sempreverde Nanni Moretti.

Tratta dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi, con il quale ha vinto il premio Strega nel 2020 con più di 330.000 copie vendute, è una storia a tratti avvilente, sentita, ma vogliosa di guardare alla vita con occhi fiduciosi, anche quando non c’è più nulla in cui riporre speranze.

il colibrì recensione

Marco Carrera (Pierfrancesco Favino) è un medico oculista, incastrato a metà tra la sua dimensione coniugale con Marina (Kasia Smutniak), ormai ridottasi ad una convivenza forzata, e quella con Luisa (Bérénice Bejo), il suo amore adolescenziale perdurato un’intera vita. La sua realtà, per quanto molto agiata, è sin da subito costellata da disgrazie di ogni tipo, in grado di estinguere ogni barlume di luce in questo limbo fatto di flashback e ricordi.

È l’amore che lo tormenta, è l’amore che lo condanna, ma è anche l’amore che lo assolverà in ultima istanza. Ad accompagnarlo, quasi fosse il suo Virgilio, vi è lo psichiatra Daniele Carradori (Nanni Moretti) il quale, dopo aver seguito per anni Marina, decide di avvicinarsi a Marco in un momento critico.

Attingendo ad un materiale meraviglioso come l’opera di Veronesi, Il Colibrì, avvolgente nel suo intreccio articolato, sa trasmettere un calore familiare che, a rigor di logica, dovrebbe soffocare sotto il peso delle sciagure che lasciano Marco immobile per gran parte della sua esistenza.
È un insieme di fili che si attorcigliano, concatenando tra loro destini di ogni tipo.

La rivoluzione, tuttavia, comincia non appena Marco apre gli occhi sul vuoto che gli annebbia l’anima, e che rappresenta una condanna all’apatia non solo per lui ma anche per i suoi cari. Diventa essenziale ritrovare il bagliore ormai spentosi nel trambusto delle disgrazie, riaccendere la fiamma della vita, anche solo per darle l’addio un’ultima volta, così come si farebbe ad un amico di lunga data, sperando di rivedersi un giorno non troppo lontano.

il colibrì recensione

Il Colibrì uscirà nelle sale il 14 ottobre, e noi non riusciamo a trovare un motivo valido per non invitarvi ad andare. È un’opera ambiziosa, che racconta una storia con dolcezza commovente, capace d’alternare fasi di caos a momenti quasi sussurrati.

A delle prove attoriali da manuale si aggiunge una regia pulita e dinamica, con dei colori che ricordano i pastelli di Guadagnino. In questa poesia dedicata alla vita, il primo verso è dedicato alle avversità, continua con le complicazioni, e vede nella redenzione il suo epilogo.

L’uomo però è più di una macchina e, per quanto ci si possa impegnare, non sarà mai razionale. Nonostante le sofferenze e il dolore, il cuore trova sempre un modo per alleviare le pene, anche quando il sacrificio per conseguire la serenità appare insormontabile.