Che forse il genere western sta veramente tornando di moda? Forse che Hostiles o The Revenant non sono stati episodici momenti di gloria per un genere che una volta era tutto o quasi per il grande pubblico?
Non vi è al momento risposta soddisfacente, ma di certo se potremo continuare ad avere film come Old Henry, allora non tutto è perduto, per chi ha sempre amato la frontiera americana e la legge della sei colpi che decretava la differenza tra bene e male in un mondo dominato da violenza ma anche coraggio.
Il film, diretto da Potsy Ponciroli, ha come protagonista il vedovo Henry McCarthy (un grandissimo Tim Blake Nelson, già visto in western a Venezia con La ballata di Buster Scruggs dei fratelli Coen), contadino che cerca alla meno peggio di tirare avanti la sua fattoria assieme al giovane e ribelle figlio Wyatt (Gavin Lewis).
Tutto cambia quando sulla loro strada giunge un uomo ferito (Scott Haze), che dice di essere uno sceriffo inseguito da pericolosi criminali che si fingono uomini di legge, capitanati dallo spietato Ketchum (Stephen Dorff) che pare essere pronto a tutto per riprendersi il fuggiasco e soprattutto i soldi che esso aveva con sé.
Ma qual è la verità? E chi è soprattutto Henry, cosa nasconde nel suo passato di così tremendo da lasciare all’oscuro persino il figlio?

Questi sono solo alcuni degli elementi di un western che è ambientato in realtà nel 1906, quasi a connettersi con il mondo videoludico di Read Dead Redemption, a metà tra civiltà e anarchia selvaggia.
Ponciroli, grazie ad una sceneggiatura curato nel minimo dettaglio, fa di Old Henry un western che si pone a metà tra decostruzione del genere ed omaggio.
Sposa sicuramente in parte lo stile scevro di epica e retorica, naturalista e iperrealista proprio di film come il già citato Hostiles, The Revenant o Notizie dal Mondo.
Tuttavia, temi quale la giustizia da difendere a tutti i costi, lo strano confine tra giusto e sbagliato nonché l’atmosfera malinconica e non priva di un elegante approfondimento sul tema della formazione, lo rendono sicuramente anche vicino a film come Quel Treno per Yuma.
Su tutto e tutti domina lui, Tim Blake Nelson, autore di una prova sensazionale, un lavoro in sottrazione a dir poco perfetto, con cui attimo dopo attimo, ci fornisce in realtà le briciole con cui risalire il sentiero che porta alla verità. Ci arriveremo infine, con un colpo di scena da maestro, che di certo strapperà una lacrima non solo agli appassionati del genere cinematografico, ma anche a chi da noi, è cresciuto leggendo Ken Parker, La Storia del West o Magico Vento.

Vi è la storia della frontiera, le leggende che essa ha alimentato arrivate fino a noi dopo decenni. Allo stesso tempo vi è la decostruzione della loro sacralità, la volontà di mostrarcene la distanza da ciò che ci è stato tramandato da fiction letteraria e cinematografica.
Old Henry è un western magnifico, in cui è possibile cogliere anche un omaggio allo stile intimo, senza fronzoli e storicamente accurato di Clint Eastwood, così come le atmosfere crepuscolari care a Peckinpah e Pollack. Non esiste il mito se non quello narrato dagli uomini, tramandato di bocca in bocca, totem di una terra violenta e impietosa, dominata dalla paura ed in cui gli Dei armati di sei colpi, erano creati per esorcizzare la tragedia della vita, per nobilitarla.
Una bellissima sorpresa, un altro prezioso contributo per un genere che ha molto ancora da dare, da sperimentare e da offrire, che andrebbe riscoperto e valorizzato.