Reflection (titolo originale Vidblysk) di Valentyn Vasyanovych, presentato in concorso durante la 78° edizione della mostra d’arte cinematografica di Venezia, racconta la guerra attraverso inquadrature quasi tutte fisse. Nonostante il formalismo e la perfezione della costruzione dell’immagine il regista ucraino riesce ad atterrire e inquietare lo spettatore restituendo l’impotenza dell’uomo davanti alle atrocità del conflitto bellico.

2014, guerra fra Russia e Ucraina; il medico ucraino Serhiy (Roman Lutskyi) è impegnato a cercare di salvare le vite dei feriti provenienti dal fronte russo. Rimane coinvolto direttamente nella guerra quando viene catturato e portato in prigione. Torturato, umiliato e costretto ad assistere a violenze e crimini davvero disumani, riesce a sopravvivere (perchè “scambiato” con altri ostaggi) e fare ritorno dall’ex-moglie e dalla figlia per provare a ricominciare a vivere.

Reflection si collega direttamente ad Atlantyda, precedente lavoro dell’autore sovietico, nel quale colpiva l’impatto visivo e la crudeltà con cui veniva mostrata la guerra.
In questo nuovo film pare ripetersi, trasformando il rigore estetico in qualcosa di troppo perfetto per non creare disagio in chi lo vede. Film ricco di simbolismi dove a parlare è l’immagine, infastidita spesso da forti rumori di sottofondo che minano la scena facendola apparire ancora più disturbante.

Davvero convincente è l’inizio di Reflection dove in una inquadratura simmetrica di persone davante ad una vetrata, Vasyanovyh trasmette il senso d’imprevedibilità della guerra; da una situazione normale, immacolata e limpida, dopo un fischio si scatena il caos oltre la vetrata e viene distrutto il candore visivo che faceva pensare a tutt’altro tipo di film e non ad un lavoro sulla guerra.

Il regista di Atlantyda, dopo questo inizio folgorante e formalmente inappuntabile, insiste con la tecnica del surcadrage (personaggi e azioni inseriti dentro cornici formate da finestre, porte, corridoi e quadri), ma l’esplosione di cinema vera e propria si ha quando la macchina da presa inizia a muoversi.
Nella seconda parte del film infatti la costruzione diventa dinamica e non più statica, Vasyanovych “abbandona il cavalletto” e da libero sfogo alla poesia cinematografica fino al quasi cinico finale.

Nella seconda parte più dinamica viene giustificato appunto il Reflection del titolo, inteso sia come riflesso dello specchio sia come riflesso interiore. Serhiy deve tornare alla vita precedente, ma gli avvenimenti lo hanno cambiato drasticamente e quindi le sue riflessioni sono diventate più profonde e cupe esattamente come avviene alle immagini.

Valentyn Vasyanovych con Reflection si dimostra grande conoscitore del linguaggio cinematografico e soprattutto sperimentatore che non abbandona il passato, ma lo sfrutta per creare qualcosa di nuovo, soprattutto a livello estetico