Chiamare I 400 colpi una “storia di formazione” sembra un azzardo bello e buono. L’etichetta, per quanto in parte veritiera, non riesce ad esprimere a pieno l’importanza cinematografica di questo film, risultando riduttiva.

Storie del genere sono di solito improntate su una narrazione più leggera, spesso macchiata di nostalgia. Ciò non accade nella pellicola di François Truffaut, che al contrario propone uno sguardo intransigente ed articolato sulle diverse sfumature della vita adolescenziale. Ignorando qualsivoglia tipo di melodramma, si è più in grado di visualizzare e comprendere i fattori che modellano il presente, riuscendo così ad avere voce in capitolo sulla direzione del futuro.

Per il regista francese questo film rappresenta il suo primo lungometraggio, giunto nel mondo della cinematografia dopo esser passato per la via della critica.
Insieme a Godard, Rohmer, Chabrol e Vadim (solo per citarne alcuni), Truffaut è passato alla storia per uno degli autori fondatori della Nouvelle vague francese, una corrente cinematografica audace incentrata sul racconto di storie intime e verosimili.

I 400 colpi divenne così uno dei primi e più influenti manifesti di questo movimento, capace di scuotere l’intera macchina produttiva mondiale per più di un decennio.

I 400 colpi è il primo di cinque casi in cui il regista francese decide di riproporre sul grande schermo eventi riconducibili alla sua vita, trasposti nella figura del suo alter-ego filmico, Antoine Doinel (interpretato da Jean-Pierre Léaud).
Doinel, sempre interpretato da Léaud, sarebbe ricomparso altre quattro volte: nel cortometraggio del 1962 Antoine et Collette, poi nei lungometraggi Baisers volés (nel 1968), Domicile conjugal (nel 1970), e L’amour en fuite (1979).

In questa pellicola nello specifico, Antoine non è tanto un piantagrane, quanto sfortunato. Le sue gesta ed i suoi svaghi, almeno ad inizio film, non differiscono troppo da quelli dei suoi compagni, tant’è che molte delle infrazioni commesse d’Antoine sono di poco conto. Ad ingigantirle sono le figure autoritarie, incapaci di guardare a questi episodi se non sotto la peggior luce possibile.

La vita domestica del ragazzo non è affatto meglio. Sua madre, prigioniera di una gravidanza indesiderata, trascorre più tempo che può lontano da casa. La sua rabbia e frustrazione non fa altro che peggiorare, quando invece è in compagnia di Antoine.
Il suo patrigno invece alterna momenti d’affetto a fasi d’inspiegabile violenza iraconda. L’unica costante nell’universo del ragazzo è il totale disinteresse nei suoi confronti da parte delle sue figure genitoriali. Nel finale de I 400 colpi ritroviamo un Antoine cambiato, trasformatosi in un ladruncolo minorenne, capace di rubare una macchina da scrivere dall’ufficio di suo padre, di essere arrestato e persino di fuggire dal riformatorio. È una metamorfosi che avrebbe potuto subire delle battute d’arresto qualora, da parte di una qualsiasi figura esterna come un genitore o un insegnante, vi fosse stato un accenno d’attenzione. Ciò che invece ha segnato la catabasi di Antoine è stata la negligenza più sconsiderata della sfera sociale che l’ha da sempre accerchiato.
Incapace d’avere tregua a casa o a scuola, l’unico posto che sembra donargli un po’ di serenità pare essere il cinema, lasciandolo libero di fuggire in un altro mondo.

Come Truffaut sottolinea, è il ritratto dell’innocenza perduta, seguita da un bagno gelido nella cruda realtà del mondo adulto. È un film stilisticamente notevole, che fa tesoro di una serie d’intuizioni singolari.

Truffaut ha escogitato, insieme al direttore della fotografia Henri Decaë, un approccio semplice ed allo stesso tempo innovativo. I 400 colpi fu, infatti, il primo film francese ad essere girato in widescreen, cosa che ha richiesto una lunga pianificazione. Altrettanto d’impatto è il contributo dell’attore protagonista, Jean-Pierre Léaud, artefice di una performance eccellente nella sua naturalezza e spontaneità.

Nonostante siano passati più di quarant’anni dall’uscita del film, il fascino de I 400 colpi è rimasto immacolato. Evitando il mero sentimentalismo, Truffaut si tira indietro dalle false emozioni e da una pietà grossolana. Al contrario, la figura di Antoine viene ripresa così com’è, senza filtro, con tutti i suoi pregi e difetti in bella mostra.

Grazie a questa estrema onesta visiva e narrativa, la connessione che nasce con il ragazzo è più profonda di quanto sarebbe mai potuto accadere seguendo schemi più tradizionali. I 400 colpi è un grande classico della cinematografia di tutti i tempi e, come tale, il tempo che passa non fa altro che farcelo apprezzare sempre di più.