La Piedad è il secondo film del regista, sceneggiatore ed attore spagnolo Eduardo Casanova, in gara alla 40ª edizione del Torino Film Festival. Il suo debutto nel 2017 con Pelle fece già di per sé scalpore, con un prodotto fuori dall’ordinario.
Con questa sua nuova fatica, il regista porta l’eccesso ad un nuovo livello, con lo scopo di raccontare una storia realistica, grave e veritiera in una modalità totalmente irrealistica, allegorica e fantasiosa.

Eduardo Casanova apre il film come fosse un thriller, con una pulsante colonna sonora, primo piano ad un orologio, con una grande enfasi sul ticchettio delle lancette.
La tensione poi si spezza, rivelando uno dei primissimi colpi di scena della trama. Il titolo del film viene proiettato su schermo sia in spagnolo che in coreano, cosa che potrebbe far pensare ad un omaggio rivolto al recentemente scomparso Kim Ki-duk, considerando il suo film del 2012 avente lo stesso nome. La verità è che la Corea gioca un ruolo specifico all’interno dello sviluppo narrativo, il quale verrà rivelato più in là nel minutaggio.
Se la Pietà di Kim era certamente un film strano, anche in questo caso ci si lascia destabilizzare facilmente dalla storia, in modo tuttavia diverso.

Mateo (Manel Llunell) vive in un mondo rosa pastello, quasi a ricordare una realtà nella quale potrebbero vivere Barbie e Ken. Il ragazzo è costantemente accompagnato dalla madre, Libertad (Ángela Molina). Ironicamente, la “libertà” è qualcosa di concettualmente molto distante dalla mente del ragazzo, soggiogato di continuo dalle paranoie di una madre ossessionata dal controllo. La donna provvede a tagliargli le unghie, lavarlo, curare la sua alimentazione, e quant’altro. Tuttavia, quando viene diagnosticato il cancro al ragazzo, gli equilibri malsani iniziano a vacillare, e in Mateo inizia a crescere una voglia ardente di fuggire.

Non c’è una vera e propria categoria dove inserire La Piedad, visto che gli elementi che lo compongono si differenziano tra il bizzarro, la suspence, l’horror ed il grottesco. C’è da domandarsi se il messaggio, ovvero la co-dipendenza tossica che va a creare un mini-regime del terrore, sia stato ritratto nel migliore dei modi. Forse la risposta è no, ma sicuramente la particolare riproposizione di questo topic è iconica, a suo modo, adornata da eccessi e da un’estetica volutamente kitsch.
Con La Piedad, in definitiva, Eduardo Casanova dimostra una visione singolare e unica, con una voglia d’acciaio di dimostrare il suo valore da cineasta mettendo in mostra le sue abilità, con storie sempre più sconvolgenti e distorte. Dai colori utilizzati agli esempi che ricorrono frequentemente nel corso della pellicola, è facile intuire la natura metaforica dell’opera. Alla fine, il film offre degli ingredienti ben combinati tra loro, con alcune parti davvero difficili da dimenticare.
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