Valeria Bruni Tedeschi torna alla regia con Forever Young, una pellicola che sfugge e travolge proprio come la giovinezza che racconta.

Con il titolo originale Les Amandiers, Forever Young di Valeria Bruni Tedeschi è un lungo racconto di una porzione di vita della regista e attrice, quella della sua formazione, quella degli anni ottanta.
C’è l’inizio, ci sono i provini, il dover dimostrare di essere all’altezza e quel continuo spingersi oltre sul palco e sulla vita, con la spensieratezza e l’inconsapevole follia tipica della gioventù.

E’ questo che la regista, ormai al suo settimo lungometraggio dietro la macchina da presa, vuole raccontare: la sua formazione, quel periodo lontano eppure così vicino che l’ha formata e l’ha segnata.
Il film è un’autobiografia, o almeno inizia come tale, per poi aprirsi ad ogni lettura possibile, tanto da riuscire a parlare di chiunque, in una sorta di giovinezza universale che delinea, tratteggiando, il profilo di ciascuno di noi.

La storia che Tedeschi racconta si muove dentro e fuori le mura della scuola di recitazione del Théâtre des Amandiers, che sullo schermo diventa un piccolo mondo, specchio di una realtà ben più grande, con le sue dinamiche, i suoi drammi, le sue tragedie e le sue gioie.

Al centro di tutta la narrazione c’è Stella, alterego della regista e interpretata dall’intensa Nadia Tereszkiewicz; Stella è giovane e appassionata, emotiva ed emozionante, forte e fragile, determinata ma anche ben capace d’inciampare nelle sue scelte. Forever Young racconta tutto, attraverso una macchina da presa delicata ma invadente, che con i suoi primissimi piani entra nei personaggi in modo da farci toccare le loro emozioni.
Entriamo in contatto con Stella che sente il tempo sfuggirle di mano e recita per dare valore alla sua vita, ci scontriamo con Etienne, Sofiane Bennacer, cupo e tormentato, capace di trascinarci giù con lui nel buio e frenetico vortice della droga.

Valeria Bruni Tedeschi con questo film racconta le emozioni più che gli eventi, il modo, tutto ventenne , di vivere le cose, i momenti e gli anni. C’è amore, disperazione, verità, aggressività, orrore, morte e amicizia, tra quella manciata di ragazzi che è riuscita a passare le selezioni della prestigiosa scuola di teatro di Nanterre.
La regista ci fa entrare nel suo vissuto, in questa scuola non convenzionale dove ha imparato cosa essere e non essere, dai grandi Patrice Chéreau e Pierre Romans, interpretati da Louis Garrel e Micha Lescot.

Les Amandiers non era una scuola teatrale convenzionale, era una scuola dove ci hanno insegnato a cancellare la frontiera tra la vita e la scena, non recitare ma essere.

Il lavoro dell’attore è il vero fulcro della pellicola, ma in particolar modo la sua verità; questo ha ricercato Valeria Bruni Tedeschi per Forever Young, la verità dei suoi attori e non la fedele trasposizione del suo vissuto, non tanto i suoi ricordi, quanto l’interpretazione di questa finzione scolastica anni ’80.

In questa commedia che si fa tragedia amara, la regista affronta le dipendenze e le loro conseguenze, la morte, lo sconforto, la rabbia e l’incomprensione, in una visione sempre un filo spensierata, nonostante tutto. C’è la lunga ombra dell’AIDS, maneggiata con un meraviglioso contrasto tra comico e tragico, in una complessità disarmante: in una piccola realtà in cui tutti vanno con tutti, chiunque potrebbe essere in pericolo. In questo gioco di alti e bassi, che riporta con la mente alla Bruni Tedeschi de La pazza gioia, tutta presa tra paure ed emozioni, vita e vitalità, la regista si apre al suo pubblico, tornando indietro a quei momenti lontani, ma non poi così tanto se si pensa agli attori come eterni bambini capaci di far innamorare il mondo intero.

Eros e Tanatos, amore e morte sono i grandi giudici ma anche burattinai di queste vite d’attori, giudici imparziali e in collera, proprio come i due grandi maestri francesi che l’hanno iniziata ad un’arte che, nel tempo, Valeria ha fatto sua e sua soltanto.

Una pellicola fatta di grandi contrasti, dall’inizio alla fine, con in chiusura “Guarda che Luna” di Fred Buscaglione, tra il dramma e l’allegria, cantata proprio dal tormentato Etienne in una sorta di ultima evocazione di quella giovinezza perduta.