Dopo la recente morte di Jean-Luc Godard rischia di morire anche quella idea di un cinema inteso come arte autonoma non più suddita della letteratura e meno che mai della televisione, una idea da Godard coltivata con coerenza fino alla fine della sua attività di teorico e di regista.
Un cinema non più narrativo ma fatto di movimenti come accade nella musica e di configurazioni visive come accade nella pittura, un cinema dove i film sono pezzi di jazz e dripping cromatici alla Pollock, un cinema luogo del significante polivoco e non del significato univoco come accade nelle narrazioni forti dominanti, un cinema poetico-critico nemico del messaggio mistificante e dunque fascista nei confronti dello spettatore.
“Non è una immagine giusta, è giusto una immagine “
diceva Godard dei suoi film contro ogni concezione del cinema come arte mimetica piuttosto che come processo scritturale audiovisivo.

Oggi il Cinema è tornato ad essere soltanto narrativo come vogliono le odierne piattaforme dove dilagano feuilleton di “mille puntate” con buona parte del film inteso come testo contesto unitario opera di autori animati da una propria poetica personale e con predominio degli sceneggiatori sui registi.
Un fenomeno che prelude alla morte del cinema quale dello di poesia coltivato in passato oltre che da Godard anche da Antonioni e da Pasolini.
Vivremo dunque prigionieri ad Alphaville senza che un Lemmy Caution possa riportarci dal buio del mega-calcolatore alla luce della dei sentimenti grazie alla poesia.
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