Quando una cosa è stata fatta bene non si capisce che bisogno c’è di volerla rifare. Questo vale per tutti i prodotti, compresi i film che sono anch’essi dei prodotti anche se artistici.

Rifare un film famoso a distanza di anni non può essere un’operazione vincente, soprattutto quando l’originale conserva una sua aura mitica impossibile da replicare.

A conferma di questa verità basti vedere i tanti remake di pellicole famose usciti negli ultimi decenni, ultimo quello di I magnifici sette di John Sturges del 1960 oggetto ora di rifacimento da parte del regista Antoine Fuqua. Aggiornato in termini multirazziali e con maggior spazio dato alla protagonista femminile, il film ha una sua innegabile carica spettacolare ma non possiede il respiro epico dell’originale e neppure la sua granitica durezza sacrificata a una correttezza di maniera espressa anche da un commento musicale che fu la forza dell’originale di Elmer Bernstein e che qui risulta senza scatto e senza nerbo.

ultimatum-alla-terraL’esempio è solo uno dei tanti prodotti da un cinema a corto di soggetti originali che punta soltanto sull’action muscolare e sugli effetti speciali con conseguente scomparsa di quell’anima che palpitava nei titoli oggetto di rifacimento. Vittima di questo snaturamento è stato anni fa anche il remake del classico di sci-fi Ultimatum alla terra, lontano anni luce dalla poesia di matrice umanistica del prototipo girato in bianco e nero da Robert Wise negli anni Cinquanta (quello con il robot Gort, per capirci), per non parlare del King Kong girato nel 1933 da Schoedsack forse ingenuo ma molto poetico (a differenza dei due rifacimenti successivi privi di autentico pathos) e anche del kolossal Ben Hur di Wyler cento volte rifatto senza mai essere superato nonostante le moderne tecnologie di ripresa.

Insomma, al cinema come altrove è bene diffidare delle imitazioni, a meno che non si tratta di un titolo tratto da un romanzo famoso rifatto da registi diversi con una personale rilettura del testo di partenza (i vari Dottor Jekill e mister Hide) oppure a meno che non si tratti di autoremakes, cioè di film rifatti una seconda volta dallo stesso regista a distanza di anni (tipo L’uomo che sapeva troppo girato due volte da Hitchcock).

In un film non vale la storia,ma come essa viene raccontata, e se il miracolo della forma perfetta si verifica una volta, è un delitto volerlo riproporre (rifare Casablanca non è difficile, è impossibile).

La pratica dilagante del remake poteva capirsi una volta, quando i film erano “visti e perduti” e occorreva rifarli per le nuove generazioni di spettatori. Ma oggi che tutti i film della storia del cinema sono reperibili sui vari dispostivi è facile vedere e rivedere i classici di serie A e di serie B di ogni genere e di ogni nazione.

Quello che prima era consentito soltanto agli specialisti oggi è a portata di mano di tutti gli amanti del cinema. Nei mercatini che vendono a due euro i film in DVD possiamo trovare quell’horror degli anni Trenta (come Il bacio della pantera di Tourner) che conosciamo soltanto per il remake fattone in seguito ma di gran lunga inferiore come valore artistico e anche tutti i western con Alan Ladd e i noir con Fred Mc Murray (ai quali in seguito si sarebbero ispirati tanti registi con meno ispirazione dei grandi artigiani dell’epoca d’oro di Hollywood).

Italian film director Sergio Leone, exponent of Spaghetti Westerns, brandishing toy guns.   (Photo by Keystone/Getty Images)

Un conto è ispirarsi alla lontana a un titolo del passato, un altro conto è pretendere di replicarne la magia e peggio ancora usando lo stesso titolo. Sergio Leone si è ispirato al grande cinema western americano ma è partito da esso per fare opere originali mai viste prima e diventate a loro volta dei grandi classici dello schermo.