Anche se limitato e distanziato a causa della pandemia il cinema non si arrende e cerca in tutti modi di svolgere la sua funzione compensatoria per gli spettatori a corto di storie in un periodo in cui anche l’arte può svolgere un ruolo salutare per il corpo e per lo spirito.
In quest’opera meritoria il cinema, seppur dislocato e rilocato, continua a sorprenderci con film che aggirano i mille ostacoli produttivi e sanno riportare sullo schermo quel cinema-cinema che rischiava di entrare in una zona d’ombra irreversibile.
Uno di questi film è Malcolm e Marie girato da Sam Levinson in piena emergenza covid e trasmesso in febbraio da Netflix, un film che fa di necessità virtù e trae proprio dalle difficoltà di realizzazione l’ispirazione per la sua forma narrativa rigorosa e coinvolgente.
La vicenda rappresenta in tempo reale e all’interno di una sola stanza il confronto al rientro da una premiazione tra una moglie e un marito regista di successo che presto si trasforma in un carnage di coppia fatto di accuse e risentimenti reciproci orchestrati con rigore di scrittura in un geometrico “passo a due” (che diventa a tre se si aggiunge la cinepresa che registra, ora complice ora distaccata, le fasi della coreografia spaziale ed emotiva dei due personaggi). Lui che si giustifica e lei che accusa si avvicinano e si allontanano in un gioco alternato di carrelli laterali, di campi medi e di primi piani sostenuto da un dialogo dinamico che scongiura i rischi del teatro filmato e crea una crescente suspence psicologica che ricorda, visto l’argomento, più il cinema di Truffaut che quello di Polanski (anche in virtù della scelta cromatica del bianco e nero e di quella della pellicola in 35mm).
Grazie alle soluzioni di regia inerenti alla messa in racconto della lite e alla prestazione dei due protagonisti soli in scena (un agitato John Washington e una enigmatica Zendaya), ricca di mille sfumature non solo verbali ma anche mimiche e gestuali il film di Levinson avvince e diverte con quello che è un trattato sul narcisismo dell’artista e lo fa senza bisogno di ricorrere a forzature o a eccessi drammatici (e in questo sta la moderna classicità della sua opera).
Se Malcom e Marie è stato un’inattesa boccata d’aria fresca, per il resto bisogna accontentarsi di discreti film di genere visibili sulle piattaforme in attesa che con la riapertura delle sale vengano liberati i tanti nuovi film la cui uscita è stata più volte rinviata a tempi migliori.
Tra questi film disponibili in streaming merita una visita lo svedese Red Dot, un revenge porn diretto da Alain Darborg, ambientato tra i ghiacci artici in forma di caccia sadica ai danni di una apparente incolpevole coppia di giovani sposi con tanto di rovesciamento finale.
Ma anche nell’area dei generi collaudati non mancano le sorprese, come ad esempio la serie di produzione egiziana Paranormal giunta alla sesta puntata, una ghost story realizzata nel 2021 dai due registi Ansari e Salama che procede in orizzontale e in verticale tra occultismo e onirismo con momenti paurosi a partire dalla scomparsa di una bambina bianco-vestita avvenuta anni prima che turba la mente di un bislacco, ma empatico, professore de Il Cairo che fa sogni strani e vede fantasmi (ma che si ostina comunque a seguire la ragione da convinto osservante delle famose leggi di Murphy anche quando sono in pericolo i suoi parenti).
La cosa buona è che, al di là dell’effettivo valore artistico, tanto il film svedese quanto la serie egiziana sono esempi di un cinema mondializzato ma non globalizzato, un cinema che esprime culture diverse e non si limita a seguire il solo modello hollywoodiano.
Un cinema che diradatasi la nube pandemica potrà forse farci riscoprire il gusto per la vita in comune tra le persone con tutti i suoi piccoli e grandi, ma umani problemi.