Precisione e simmetria sono le credenziali necessarie per vincere su tutto quello che non va nella società, cambiando radicalmente la propria esistenza con tutto ciò che si desidera? Una lunga domanda a cui Olivia Wilde tenta di dare una risposta con Don’t Worry Darling, il secondo film da regista per l’attrice che aveva diretto nel 2019 La Rivincita delle Sfigate.
Con delle dinamiche da thriller psicologico, la Wilde porta lo spettatore all’interno delle conseguenze di una realtà alternativa. Don’t Worry Darling è presentato fuori concorso alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e uscirà nei cinema il prossimo 22 settembre distribuito da Warner Bros. Pictures.

Siamo negli anni Cinquanta, Alice (Florence Pugh) e Jack (Harry Styles) vivono in quella che sembra una piccola cittadina in mezzo al deserto della California. In una situazione troppo, anzi esageratamente, perfetta si collocano una serie di quadretti familiari in cui le donne consumano la loro giornata stando in casa e divertendosi tra un drink e un cocktail, mentre gli uomini escono di casa con le loro auto pastello per andare a lavorare al Victory Project. Un lavoro top secret, mandato avanti dal sinistro e persuasivo Frank (Chris Pine).
Nel mondo perfetto, però, qualcosa è destinato a modificarsi conducendo Alice ad una sfrenata ricerca di una verità, che si rivelerà sempre più inquietante…
Don’t Worry Darling è una storia di per sé attraente così come lo sono le case perfettamente arredate e le feste all’insegna dello sfarzo. Fin dall’inizio del film vengono subito messi in chiaro quei princìpi di omologazione e ripetitività tipici della metà dello scorso secolo.
Così in Don’t Worry Darling la routine mattutina diventa, per un attimo, un sequenza di movimenti che battono un tempo destinato a ripetersi altre e altre volte.

I personaggi si lasciano volutamente cullare da una realtà falsa quanto le loro convinzioni e in molti casi non si curano della volontà e dei diritti di chi gli sta accanto. Il film è un ritratto disperato di una società in cui ci si deve immaginare una vita, poiché quella reale è carica di problemi e risulta non essere abbastanza.
Don’t Worry Darling inserisce poco alla volta gli indizi narrativi necessari allo spettatore, anche se poi sul finale si esaurisce davvero troppo rapidamente.
I meccanismi del thriller si delineano lentamente attraverso ricordi confusi, ma per provare apprensione verso la protagonista bisogna attendere un po’.
I personaggi non sono particolarmente caratterizzati e l’attenzione è prevalentemente incentrata su Florence Pugh che riveste apprezzabilmente i panni di una Alice disperata e intenta a trovare risposte. Il villain Frank, invece, convince molto molto poco, soprattutto nei momenti in cui esplode con rabbia e frustrazione.
Don’t Worry Darling parte da un’idea che identifica gli aspetti più negativi della società odierna, ma racconta una storia che non richiede una estrema sforzo da parte dello spettatore nonostante la riuscita dell’intero lavoro sia nel colpo di scena. Ad attirare lo sguardo e a focalizzare l’attenzione ci pensano brani storici (come Sleepwalk) e una spettacolarità hollywoodiana che si individua nei movimenti sincronici, nelle pettinature a prova di vento, negli abiti e in una scenografia senza sbavature. Tensione prevedibile e tanto di patinato