Quando alla Mostra del Cinema di Venezia ci si accinge a vedere un film in corsa per il Leone d’Oro, solitamente ci si aspetta qualcosa di imponente, di maestoso, in grado di riempire i nostri occhi di stupore e meraviglia, per tanti, nuovi modi di giocare con la settima arte. Purtroppo, però, tali ottimistiche aspettative vengono spesso deluse nel momento in cui ci vengono presentati film già visti e rivisti, che seguono il solito stanco copione. Eppure, per fortuna, ciò non accade sempre. E alla 79° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia il miracolo è finalmente accaduto. The Whale dell’acclamato e controverso cineasta statunitense Darren Aronofsky, infatti, è un film che (contrariamente a quanto è stato per precedenti opere dell’autore come Mother!) non punta tutto su particolari suggestioni visive o effetti speciali. Eppure, nella sua apparente semplicità, è in grado di catturarci fin dai primi minuti, inferendoci forti scossoni emotivi da cui difficilmente si riesce a riprendersi in tempi brevi.

Ispirato all’omonima pièce teatrale firmata Samuel D. Hunter, The Whale mette in scena la storia di Charlie (un sorprendente Brendan Fraser che, per questa sua straordinaria performance, potrebbe addirittura iniziare a sognare una probabile Coppa Volpi), un uomo di mezza età gravemente obeso, il quale impartisce lezioni di scrittura online e – anche a causa delle sue condizioni fisiche – non esce praticamente mai dal suo appartamento. Egli, lasciatosi ulteriormente andare in seguito alla morte del suo compagno, ha un forte senso di colpa per aver abbandonato sua figlia Ellie (ora adolescente), dopo aver scoperto, anni prima, di essere omosessuale. La possibilità di riappacificarsi con lei, dunque, sta a rappresentare per lui l’unica motivazione che lo faccia sentire ancora vivo.

Un tema scolastico che analizza il romanzo Moby Dick di Herman Melville. Una stanza chiusa a chiave piena di dolorosi ricordi. Passi della Bibbia sottolineati in rosso. La stessa religione, che da sempre ha giudicato peccaminosa la relazione tra Charlie e il suo ormai defunto compagno. Un difficile rapporto padre-figlia che, forse, nemmeno il tempo potrà mai riuscire a sanare. The Whale è tutto ciò e di intensi primi piani del suo protagonista, di carrellate che ci mostrano il suo appartamento (trattato quasi alla stregua di un ulteriore personaggio), di urla, pianti e vere e proprie “tregue armate” fa i suoi cavalli di battaglia.

Non v’è bisogno, in The Whale, di chissà quali virtuosismi registici, di scene oniriche o di particolari suggestioni visive o uditive. Un sapiente lavoro di sottrazione si è rivelato la soluzione vincente al fine di regalarci un personaggio che resterà impresso nella nostra memoria per molto e molto tempo.

Secondo la sua stessa percezione di sé, il Charlie di Darren Aronofsky (e, ovviamente, dell’ottimo Brendan Fraser) è contemporaneamente Moby Dick e il Capitano Achab, simbolo del Male per aver fatto terribilmente soffrire le persone che ama, ma anche fortemente desideroso di sconfiggerlo una volta per tutte, quel Male. Amore e odio. Amore mai realmente compreso e odio verso di sé. Il nostro Charlie – che nel prossimo vede sempre il buono – non sembra mai riuscire a raggiungere la tanto agognata liberazione finale.

Darren Aronofsky, al contrario, sembra aver compreso benissimo quale sia la strada per arrivare al pubblico. Questo suo importante, estremamente complesso e stratificato lungometraggio ha la rara e straordinaria capacità di indagare nell’animo umano evitando pericolose retoriche e senza mai scadere nel già visto. Per le forti emozioni che è in grado di trasmettere, la sua visione potrebbe quasi essere paragonata a un giro sulle montagne russe. Nonostante l’uso di un’unica location.