E’ il 14 febbraio 2004, in una camera d’albero a Rimini viene ritrovato il corpo senza vita di Marco Pantani, acclamato ciclista italiano, sopraffatto dalla cocaina e dagli antidepressivi.
Il mondo è sconvolto, è il tragico epilogo di un uomo a cui è stato tolto tutto quello che aveva e tutto quello in cui credeva.
A raccontarci la storia di Marco Pantani è James Erskine, attraverso un documentario preciso e dettagliato, ma che sa catturare l’attenzione dello spettatore.
Pantani: trama
Marco Pantani nasce nel 1970 e sin dalla giovane età dimostra di avere un amore, ma soprattutto un talento particolare per la bicicletta, due componenti lo porteranno alla fama mondiale e alla vetta di questo sport: Pantani infatti è inarrestabile, non solo è un esperto e capace scalatore ma anche uno scattista e discesista.
Tra il 1992 e il 2003 colleziona 46 vittorie, la medaglia di bronzo ai mondiali in linea del 1995 e nel 1998 entra nella hall of fame, vincendo sia il Giro d’Italia che il Tour de France. Ancora oggi Pantani è l’ultimo ciclista a essere riuscito nell’impresa, insieme a, prima di lui, Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Stephen Roche e Miguel Indurain.
La fama però porterà Pantani ad apparire scomodo a chi gestisce il business del ciclismo professionistico, business che vale miliardi.
Il ritratto che James Erksine delinea di Marco Pantani è quello in primo luogo di uomo appassionato, ma viene mostrato anche il lato umano ed estremamente fragile di un atleta all’apparenza invincibile.
Nel 1999 infatti Pantani viene squalificato dal Giro d’Italia perché sospettato di doping, probabilmente incastrato. Per il ciclista è così l’inizio della fine: tradito dallo sport che era la sua vita e abbandonato dagli sponsor e soprattutto dai suoi tifosi, entrerà in una grave depressione e dipendenza da cocaina fino a arrivare al fatidico 14 febbraio 2004.
Pantani: recensione
Il documentario di Erskine procede in modo lineare, percorrendo l’arco temporale dal 1970 al 2004 senza colpi di scena o flashback.
La prima la parte del film sembra un reportage, abilmente plasmato, sulla vita del ciclista. Erskine unisce le riprese fatte ad hoc (in cui Pantani è interpretato da Conan Sweeny) ai filmati originali d’archivio delle corse e delle vittorie, inserendo anche interviste, rilasciate dopo la morte dell’atleta, ai famigliari e agli allenatori.
Molto presente è la voce di Pantani stesso presa dalle interviste che rilasciava abitualmente e che ci aiuta a comprendere il protagonista del documentario e quasi a tifare ancora oggi per lui.
La seconda parte del film invece abbandona lo stile del reportage e assume un tono più d’inchiesta. Pur mantenendo lo stesso linguaggio e gli stessi mezzi registici si percepisce un alone di mistero intorno alla narrazione.
Si intravede una volontà di capire cosa c’è stato sotto la squalifica di Pantani dal Giro d’Italia e del sospetto complotto contro il ciclista a causa della sua enorme, troppa fama. Volontà che però alla fine del film non viene svelata, come successe effettivamente nella realtà dei fatti.
L’aspetto che forse manca a tutto Pantani è una componente emotiva. Tutti gli episodi della vita di Pantani
vengono narrati nello stesso identico modo, dal drammatico incidente avuto nel 1992, alle leggendarie vittorie
degli anni successivi, alla squalifica e infine alla tragica morte.
Sembra che si sia voluto dare più importanza all’aspetto documentaristico piuttosto che a quello narrativo, che forse invece avrebbe appassionato maggiormente lo spettatore, facendolo anche emozionare ed immedesimare.
Comunque Pantani è un documentario completo ed esaustivo capace di coinvolgere anche chi non è mai stato interessato al ciclismo, godibile per i più curiosi e appassionati, sconsigliato forse per una serata a due o tra amici.
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