Quanto saremmo disposti a sacrificare per mantenere il nostro posto di lavoro? Molto, forse tutto. Per questo i 7 minuti che fanno da titolo al film di Michele Placido, presentato alla RomaFF11, sembrano una richiesta da nulla alle undici impiegate del consiglio di fabbrica di un’azienda tessile appena acquistata da una multinazionale francese.

7-minuti-5I pochi minuti in questione sono quelli da sottrarre alla pausa pranzo; per chi era sicuro di perdere il posto di lavoro non sembra esserci altro da fare che tirare un respiro di sollievo e accettare senza porre tempo in mezzo.

Una sola di queste donne si oppone con forza alla decisione. Bianca, l’operaia più anziana e portavoce del gruppo, comincerà ad instillare anche nelle altre il seme del dubbio: 7 minuti sono davvero una piccola cosa, o cedere a questa richiesta rappresenta in realtà un compromesso ben più grande di quanto non sembri a prima vista?

Stefano Massini, nell’adattare per il cinema il suo stesso lavoro teatrale portato in scena nelle scorse stagioni con la regia di Alessandro Gassmann, decide di seguire la strada più semplice e tradizionale nell’“apertura” del testo.

Il film inizia infatti con una serie di scene che mostrano l’esterno della fabbrica, l’arrivo delle impiegate, spezzoni della riunione dei “capi” con la portavoce Bianca: sequenze lunghe e di nessuno interesse, che non nascondono l’origine teatrale del testo ma al contrario riescono solo ad allentarne la tensione e ad allontanare l’attenzione da quello che è il vero centro del film.

Paradossalmente infatti tutto diventa davvero dinamico solo nel momento in cui le protagoniste si ritrovano chiuse in una stanza: sedute intorno a un tavolo, una di fronte all’altra, le undici donne cominciano a discutere e a confrontarsi su quale sia la decisione giusta da prendere, avviando un confronto serrato in cui è difficile dire chi ha torto e chi ha ragione.

Partendo da un meccanismo classico, lo stesso del famoso testo di Reginald Rose da cui Sidney Lumet ha tratto La parola ai giurati (1957), Placido dà il meglio di sé nella direzione delle attrici, facendo anche qualche scelta non scontata che si dimostra vincente. Sorprendono le prove attoriali delle due cantanti Fiorella Mannoia e Maria Nazionale: tanto contenuta l’una quanto dirompente l’altra, entrambe bravissime.

7-minuti-3Oltre a Ottavia Piccolo nel ruolo di Bianca, già ricoperto a teatro, il resto del cast amalgama perfettamente attrici di diverse nazionalità (alle “nostre” Ambra Angiolini, Violante Placido e Cristiana Capotondi si affiancano la francese Clémence Poésy (vista nella saga di Harry Potter), la svizzera Sabine Timoteo e la malese Balkissa Maiga), tutte capaci di centrare il loro personaggio, di far emergere i diversi punti di vista di queste donne disperate, schiacciate dal peso di dover decidere non solo per se stesse ma anche per tutte le altre.

Questo gruppo eterogeneo è un drammatico spaccato della nostra società, dove assistiamo a una sempre maggiore difficoltà a cooperare e a trovare una nuova forma di solidarietà collettiva. È l’immagine di un paese dove la crisi economica si è trasformata in crisi sociale e morale: le difficoltà di questi anni ci hanno messi gli uni contro gli altri, in una guerra tra poveri in cui ad essere colpiti sono i più deboli, primi fra tutti gli immigrati. Una realtà in cui diffidare di tutto e tutti, dove anche il risarcimento per un’invalidità permanente diventa motivo d’invidia. Difficile per chi è perso in questo presente incerto trovare la forza di difendere i propri diritti, attanagliati come siamo dalla paura di sprofondare ancora di più in un abisso che sembra già buio e profondissimo.

Il film di Placido, pur cadendo in un finale troppo retorico e demagogico, invita a pensare agli errori fatti in questi anni e a quello che lasceremo alle nuove generazioni. A come i piccoli compromessi che siamo pronti ad accettare oggi possano diventare enormi macigni per chi verrà dopo di noi.