Il mio nome è vendetta diventa una case history per un pomeriggio: durante il festival anconetano Corto Dorico, si è tenuta la masterclass “Tecniche di animazione per la realizzazione di opere cinematografiche” a cura di Cosimo Gomez e Nuccio Canino, rispettivamente il regista e il VFX Supervisor di Il mio nome è vendetta, e con la partecipazione della production manager Aurora Martina Meneo.
Il film è un revenge movie con poco sapore italiano, non tanto per la storia ma proprio per l’apporto di CGI e momenti di azione e dialoghi striminziti. E questo è un po’ un peccato, visto che il cast è formato da Alessandro Gassmann, Remo Girone e la giovanissima Ginevra Francesconi.
Il mio nome è vendetta: la storia di Santo e Sofia
Santo Romeo (Alessandro Gassmann) è un boscaiolo che vive a Bolzano con la figlia adolescente Sofia (Ginevra Francesconi) e la moglie Ingrid (Sinja Dieks).
Conducono una vita serena, ma il passato di Santo bussa, anzi entra, alla sua porta poco dopo che Sofia, nonostante la ritrosia del padre, riesce a scattargli una foto e pubblicarla su Instagram.
Precisamente, ad entrare in casa di Santo è la famiglia Lo Bianco, rivale di quella per cui lavorava Santo, in possesso di un sistema di riconoscimento dei volti che scansiona migliaia di foto e video in tutto il web. Nemmeno a dirlo, la foto pubblicata da Sofia fa scattare la missione di vendetta dei Lo Bianco: Santo ha ucciso il figlio del boss Angelo (Remo Girone), e deve quindi fare la stessa fine.
Due uomini armati, in un momento in cui Santo è via, irrompono in casa uccidendo la moglie e il cognato Patrick (Luca Zamperoni), confondendo quest’ultimo con Santo.
Sofia riesce a scappare e per padre e figlia comincia una fuga per la sopravvivenza. Sofia pretende delle spiegazioni, ma Santo è restio a dargliele fin quando non ne è costretto. Prima di metter su famiglia era un sicario della ‘ndrangheta e ora è vittima di un regolamento di conti tra famiglie mafiose. Santo è una macchina da guerra: si destreggia con particolare efferatezza e abilità tra armi, pugni e calci ed è pronto a formare anche sua figlia: uccidere o essere uccisi è ora la ragione di vita anche di Sofia.
La masterclass di Cosimo Gomez e Nuccio Canino
Perché il titolo della masterclass del Corto Dorico cita “tecniche di animazione”? Perché Cosimo Gomez, che ha anche disegnato gli storyboard de Il mio nome è vendetta oltre ad essere il regista, dice di aver utilizzato una tecnica simile a quella del rotoscope, in cui il disegnatore ricalca le scene a partire da una pellicola filmata in precedenza. Non solo il disegno quindi, ma del mondo dell’animazione Gomez prende in prestito il concetto del rotoscopio e ricalca con le inquadrature i suoi personaggi da video di stuntman, soprattutto per le scene di azione.
Tante le curiosità della masterclass, una fra tutte è la meticolosità dei visual effects che non è affatto tipica dei film italiani di azione e vendetta, dove spesso sono predominanti i lunghi silenzi, dei dialoghi forti e delle scene d’amore. Il film viene girato in Alto Adige, più precisamente in Val Pusteria, tra Brunico, Villabassa, Dobbiaco e San Candido e una finta Milano: come spiega Nuccio Canino al Corto Dorico, hanno ricostruito digitalmente i grattacieli in Piazza Gae Aulenti di Milano nel quartiere EUR di Roma. Questo segna un grandissimo passo avanti per la cinematografia italiana e non deve essere assolutamente essere preso per scontato.
Il mio nome è vendetta è una storia immaginabile sin dall’agguato e, in fondo, tale scelta è giustificata dal desiderio di Gomez stesso e di Colorado Film nel voler fare qualcosa di bello e non tanto qualcosa di nuovo. Ed è naturale fare il paragone con altri capostipiti del genere come Taken:
“Non abbiamo preteso di fare qualcosa di nuovo ma abbiamo provato a fare bene una cosa di genere provando a metterci in competizione anche con altre cinematografie, cercando anche umilmente di affrontare il genere.”
Un bel progetto, ben pensato per Netflix e per una fruizione casalinga, se vogliamo distratta: sono molto belle le inquadrature statiche, si notano dettagli apprezzabili (come il doppio riflesso di Ginevra nella sua stanza) dove fuoriesce l’attitudine del regista per le situazioni scenografiche, avendo lui stesso lavorato come assistente scenografo affianco a maestri come Ermanno Olmi, Giuliano Montaldo, Franco Zeffirelli e Roberto Benigni e avendo firmato le scenografie di produzioni televisive internazionali firmate Rai e per i film Ovunque sei di Michele Placido, Il siero della vanità di Alex Infascelli e Anita B. di Roberto Faenza.
La storia, però, manca di elementi narrativi fondamentali per cambiare un po’ le carte in gioco e a complicare la trama: è come se all’inizio, con il rifiuto di Sofia, ci sia questa volontà che, purtroppo, viene stroncata quasi subito. E a fine film, la sensazione è che le cose potrebbero essere andate in altri modi diversi.
Vincitore nel 2012 del Premio Solinas – Storie per il cinema, Gomez fa una cosa diversa in Il mio nome è vendetta, rispetto alle sue pellicole precedenti: abbandona del tutto il lato comico, e il tema dell’assurdo risiede (forse) solo nella maestosità delle scene di combattimento. Infatti, i suoi film sono caratterizzati da humor stralunato, situazioni ridicole e personaggi ancora più strani, e i dialoghi non mancano mai, anche quando i generi sono diversi: con Brutti e cattivi, uscito nel 2017, Gomez scontra la malavita con il degrado fisico e morale, in una commedia dark con Claudio Santamaria e Marco D’Amore che vede tre fenomeni da baraccone improvvisarsi criminali.
Nel 2022, esce anche Io e Spotty (2022), dove Gomez dirige Michela De Rossi e Filippo Scotti in un slice of life sul fenomeno degli human pups, ragazzi che traggono piacere dal travestirsi e dal comportarsi come cani: Matteo, infatti, ha un alter ego furry, chiamato Spotty. Situazione ridicola e assurda, però è un’occasione per Gomez di esplorare qualcosa di più intimista.