Marco D’Amore, insieme ad una ristretta troupe cinematografica, si muove nei vicoli della sua Napoli alla ricerca della fonte da cui scaturisce il misticismo e l’incanto di una città che “per natura” fluttua e ondeggia tra sacro e profano. Con questo presupposto inizia Napoli Magica, presentato durante la quarantesima edizione del Torino Film Festival.

Nel cuore di Napoli, tra selfie con i fan, l’ormai ex Ciro Di Marzio di Gomorra, al suo secondo film da regista, raccoglie testimonianze e leggende della tradizione popolare partenopea, scopre storie di fantasmi e si prefissa di rispondere in maniera definitiva alla domanda che pone a tutti coloro che incrocia: ma Napoli è magica?

Con una impostazione che ricorda molto vagamente Comizi d’amore, documentario del 1965 diretto da Pier Paolo Pasolini, attraverso un plot twist si scende nella magia di Napoli e il documentario si appropria dell’essenza magica del Cinema.

La narrazione sale di giri, ma troppo presto ci si rende conto che la premessa iniziale non era abbastanza solida e Napoli Magica finisce con lo sposare una tesi campanilistica che, almeno nella prima parte, voleva essere scongiurata o quanto meno messa a tacere da ambizioni oggettive.

La macchia del film, oltre ad una malcelata auto-referenzialità (davvero stucchevole l’insistere sulla risposta “Napoli è magica perché ci sei tu”, riferita al regista), sta proprio in quella che doveva essere la trovata del film: l’intreccio narrativo sfocia nell’onirico e il reale perde ogni fotogramma della sua forza.
La controversa tesi che Alejandro Gonzalez Iñarritu espone in Bardo, cioè che in un film viene inserito il sogno e l’onirico quando la storia reale è debole, sembra purtoppo accreditarsi come vera.

Napoli Magica è un film che prova ad essere qualcosa di innovativo: né documentario né fiction, nè mockumentary, tuttavia questa struttura implode su sé stessa e si conclude lasciando un messaggio scontato e poco originale