Di certo non è un film che lascia indifferenti Bardo, Falsa crónica de unas cuantas verdades, ultima fatica del celebre cineasta messicano Alejandro Gonzalez Iñarritu, presentata in corsa per l’ambito Leone d’Oro alla 79° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Non lascia indifferenti, perché, decisamente, è un film che non smette mai di sorprendere, sia visivamente che per quanto riguarda le tematiche trattate. Uno dei film più personali del regista, che attinge sapientemente a piene mani da quanto realizzato in passato, distinguendosi, al contempo, per una propria, ben marcata personalità.

La storia qui messa in scena, dunque, è quella di Silverio (impersonato dall’ottimo Daniel Giménez Cacho), giornalista e documentarista messicano che da anni vive insieme alla sua famiglia negli Stati Uniti. Nel momento in cui l’uomo deve tornare temporaneamente nella sua città natale al fine di ritirare un premio alla carriera, sarà costretto a fare i conti con il proprio passato e il proprio presente, cercando di superare vecchi traumi e di prendere maggiormente coscienza della realtà in cui vive.
A una breve, sommaria lettura della sinossi tutto ciò potrebbe sembrare qualcosa di già visto. Eppure, la situazione è molto più complessa e stratificata di quanto inizialmente possa sembrare. Già, perché, di fatto, Bardo, Falsa crónica de unas cuantas verdades colpisce immediatamente per una forte, fortissima componente onirica che, già in apertura, nel mostrarci la soggettiva di un uomo che, correndo per un’enorme distesa di verde, si libera pian piano nell’aria, ci fa immediatamente pensare allo splendido 8 ½ di Federico Fellini.
E, infatti, Fellini c’è, così come – a un certo punto – ci sono i suoi spettrali musicisti. C’è ma non si fa sentire in modo “prepotente”, come spesso è accaduto in ogni qualsivoglia film girato con l’intento di emularlo. C’è Fellini, c’è Bergman, ma, soprattutto, c’è Alejandro Gonzalez Iñarritu, con i suoi lunghi piani sequenza e i suoi variopinti virtuosismi registici che spesso peccano addirittura di eccessiva autoreferenzialità. Ma, attenzione: nessuno vuole accusare Bardo, Falsa crónica de unas cuantas verdades di autoreferenzialità. Al contrario: se, inizialmente, nelle scene in cui vediamo il protagonista aggirarsi per gli studi televisivi o per le stanze di casa sua ripensiamo immediatamente a Birdman (2013), ecco che, lentamente, le cose prendono una piega ben diversa. Con il susseguirsi delle scene (vero e proprio flusso di coscienza con un suggestivo tocco onirico/surreale), questo importante lungometraggio acquista sempre più spessore.
La storia del Messico, i complicati rapporti con i vicini Stati Uniti, ma anche l’effetto che i media hanno sulla gente, la perdita di un figlio appena nato (particolarmente d’impatto la scena in cui Silverio, insieme alla moglie e ai suoi due figli, getta in mare le ceneri del suo bambino), pesci che nuotano in un acquario, situazioni al limite del grottesco e a tratti addirittura esilaranti fanno entrare lo spettatore in un vero e proprio loop spazio-temporale, lo spiazzano, lo disorientano, lo annichiliscono. Al punto che nessuno più può dire dove finisca il sogno e inizi la realtà. Almeno prima di un ulteriore, essenziale twist.
Bardo, Falsa crónica de unas cuantas verdades è indubbiamente un film che fa parlare di sé e che merita particolare attenzione. Anche da parte di chi non sempre ha apprezzato le opere del cineasta messicano. Un’opera maestosa, importante e imponente da osservare con stupore e riverenza dall’inizio alla fine.
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