Lo chiamavano Jeeg Robot rappresenta l’esordio del quarantenne Gabriele Mainetti che dimostra subito di voler fare le cose in grande: il regista, autore anche della colonna sonora, nel periodo in cui la Marvel va fortissimo e Superman sta per scontrarsi con Batman vuole dimostrarci che anche in casa nostra può nascere un supereroe. Impresa ardua, ma se pensiamo all’epopea e ai risultati degli spaghetti western, forse neanche impossibile.

Il contraltare italico di Clark Kent e Bruce Wayne è un ladruncolo di Tor Bella Monaca che risponde al nome di Enzo Ceccotti e che dopo l’immancabile incidente con le scorie nucleari, questa volta abbandonate nel Tevere, si trasforma nel superforzuto difensore dell’Urbe.

Lo chiamavano Jeeg Robot 2Mainetti attinge quanto basta dal cinema italiano di genere dei tempi che furono, dai titoli di testa al nome stesso del film (sarà una coincidenza che il protagonista condivida il nome di battesimo dell’E.B. Clucher padre putativo di Bud Spencer e Terence Hill?) e affida volto, corpo e anima del Jeeg Robot tricolore a Claudio Santamaria che ha sostenuto una dura preparazione fisica per calarsi nel ruolo del robusto Ceccotti. Come in ogni hero-movie che si rispetti non possono mancare il supercattivone e la damigella in pericolo; ecco quindi arrivare lo Zingaro, giovane aspirante boss della mala romana, interpretato da un Luca Marinelli in stato di grazia, e Alessia (Ilenia Pastorelli), ingenua ragazzina che ha lasciato agli anime il compito di farle scordare la sua tormentata esistenza.

La pellicola evita di giocare sullo stesso campo delle superproduzioni Marvel e DC; scordiamoci quindi armi ipertecnologiche, catastrofi di proporzioni epiche e protagonisti senza macchia e senza paura. Enzo Ceccotti ci appare come il più classico degli antieroi, oltre ad essere un fuorilegge, è apparentemente privo di coscienza e morale, vive in uno squallido appartamento della periferia romana ingurgitando yogurt e guardando film a luci rosse ed è chiuso e apparentemente insensibile a tutto e tutti.

La sceneggiatura di Menotti e Nicola Guaglianone preferisce così giocare sulla completa antitesi tra protagonista e antagonista: tanto Enzo rifugge le attenzioni altrui quanto lo Zingaro le cerca ossessivamente, tanto Enzo è schivo e riservato quanto lo Zingaro è emotivo e incontenibile. Addirittura, prima dell’incontro fatale tra Ceccotti/Hiroshi e Alessia, è proprio il villain a rivelarsi, paradossalmente, più umano del “buono” durante la scena in cui fa sbranare dai cani uno dei suoi più fedeli scagnozzi.Lo chiamavano Jeeg Robot 3

La battaglia tra i due personaggi sembra riprendere quella tra i due attori: se Santamaria è perfetto nel ruolo di questo antieroe, nel descrivere la sua trasformazione da reietto della società ad attrazione pubblica e quindi giustiziere, non si può non spendere comunque qualche parola in più per il succitato Luca Marinelli, autore di una prova eccezionale sotto ogni punto di vista. Un cattivo degno di Hollywood, un folle sul modello di Heath Ledger (anche se Marinelli afferma di essersi ispirato più al Buffalo Bill del Silenzio degli Innocenti) capace di coinvolgere anche quando canta Anna Oxa. L’interpretazione dei due protagonisti, affiancati da un degno cast di supporto (menzione per il bravo Gianluca di Gennaro nel ruolo del camorrista) vale quasi da sola il prezzo del biglietto.

Lo chiamavano Jeeg Robot non è perfetto, casca in qualche ingenuità di troppo e a tratti mostra la corda sulla lunga distanza (un po’ dilatata la parte “sentimentale” tra Santamaria e la Pastorelli, soprattutto considerando quanto spazio è riservato alla trasformazione di Enzo in supereroe), ma resta un valido prodotto tutto italiano, coinvolgente e che sa farsi apprezzare anche come puro action movie. Non è un film per tutti come i suoi parenti americani, ma avrà sicuramente la sua fetta di aficionados; nel frattempo, in attessa di un molto probabile sequel è già in preparazione il fumetto ispirato alle gesta di Enzo Ceccotti, quello che chiamavano Jeeg Robot.