Anche se leggermente eclissata dagli Oscar 2024, Supersex è la serie televisiva Netflix che sta facendo parlare il panorama italiano: Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni portano sullo schermo la storia di Rocco Siffredi, pornodivo e personaggio complesso del quale, da sempre, si discute parecchio.

Alessandro Borghi è Rocco Siffredi, ma nel cast figurano anche Adriano Giannini nei panni di Tommaso Tano, fratello di Rocco, e Jasmine Trinca, ovvero Lucia, la moglie di Tommaso.

Un romanzo di formazione” viene definito dagli attori stessi, che vede le origini di Rocco Tano prima e di Siffredi poi, in un continuo rincorrersi di flashback e tempi presenti che vanno dagli anni ‘70 al 2004, anno della sua pausa dall’industria dei film per adulti: conosciamo così Rocco di 9 anni (interpretato da Marco Fiore) e un Rocco appena adulto (Saul Nanni) e il suo rapporto con Ortona, con Parigi, con Los Angeles, con la madre (Tania Garribba) e con i suoi fratelli, soprattutto con Claudio (Emanuele Bracone) e Tommaso (cui versione ventenne è interpretata da Francesco Pellegrino), per non parlare di Lucia (cui ricordo viene impersonato da Eva Cela). Insomma, in questa serie osserviamo personaggi del passato che nel 2004 ancora perseguitano il protagonista, quando prende una decisione difficile mentre è pienamente immerso, crogiolato e, probabilmente, soffocato da un’industria sicuramente alienante.

Supersex, la recensione della serie Netflix

Supersex, prima di essere il titolo della serie, è il nome di una rivista davvero esistita di fotoromanzi porno incentrata sull’omonimo personaggio interpretato quasi esclusivamente da Gabriel Pontello. Ma non solo, è anche il ragno radioattivo che morde Rocco, che gli concede una consapevolezza in un momento tragico della sua vita, che poi diviene un “superpotere”.

Guardare Supersex è come fruire di un fumetto che parla di uno “sfigato” che trova la sua fortuna e che, come nelle storie Marvel o DC, viene predestinato dalla sua “donna nel frigorifero” la cui perdita gli svolta la vita. Quel personaggio, che esiste solo in funzione di donare tridimensionalità al protagonista, per Rocco è suo fratello Claudio.

E come in tutte le storie per ragazzi, c’è ironia, azione, scene assurde, donne bellissime, fisici prestanti e un’interiorità sublimata, che nella serie viene espressa tramite i monologhi mentali di Rocco.

Rocco Siffredi ha il superpotere, ha la sua kryptonite (Lucia e Tommaso), ha i suoi aiutanti (Gabriele), i mentori (Riccardo Schicchi) e perfino dei nemici.
Se ci fosse un elemento sovrannaturale, non stonerebbe affatto con la narrazione. Anzi, le donne che vengono attirate senza molto sforzo, rimandano a qualcosa di vagamente religioso.

La vita di Rocco è epica da questo nuovo schermo, dove fuoriesce lo zampino di Francesco Carrozzini, che si fa evidente in molte scene in cui sembra di trovarsi in una clip musicale. E non fa strano pensarlo, visto che il regista è il firmatario di molti video (uno tra tutti, Ultraviolence di Lana Del Rey).

Per non parlare del protagonista e dei suoi manierismi, che Borghi interpreta con precisione: Rocco Siffredi ha dei modi di parlare, di camminare e di ridere ben distinti per il pubblico generale e che, se vogliamo, possono essere altamente caratterizzanti. E, solitamente, sono dettagli riservati a personaggi di fantasia.

Insomma, il Rocco Siffredi di Supersex è un dialogo tra un antieroe e un dio idolatrato, tra un uomo poco sveglio e un animale indomabile. 

Il problema della serie è il richiamo alla realtà, che rende (in)giusto il confronto tra il vero Rocco Siffredi e la versione Netflix. Non solo perché potrebbe sembrare tutto esagerato per fare spettacolo, ma soprattutto perché sappiamo che la storia non è finita al 2004.

Lo spettatore ha chiara l’ascesa di Super Rocco, mentre deve decifrare l’anno della pausa: questo intoppo è il risultato dei flashback a volte esplicitati da una scritta viola e a volte no, delle parole esasperate di Rocco che sono palesemente il frutto di un personale punto di vista e che sembrano non centrare sempre quello che succede.

Un altro piccolo difetto, è la troppa precisione di Borghi: attore fantastico, ma non passa inosservato l’abuso della risata tipica di Rocco in qualche scena, dove l’interpretazione straordinaria diviene imitazione forzata. Per fortuna, capita poco.

Tra il sesso animale, la surrealitá dell’industria del porno, gli omaggi al rivoluzionario Riccardo Schicchi (Vincenzo Nemolato) e all’icona Moana Pozzi (Gaia Messerklinger), il trio Rocco – Tommaso – Lucia è probabilmente l’elemento più interessante della vicenda di Siffredi.

Tra le azioni sciagurate del maggiore dei Tano (maggiore, ma non di sangue), si legge di tutto: grooming a tratti incestuoso nei confronti del fratello minore, voglia di riscatto, violenza, volontà di essere accettati, gelosia, possesso e il desiderio di non essere giudicato dalla madre adottiva.

Rocco esplora il suo superpotere attraverso i demoni del fratello, prima evidenziato e poi condannato proprio da Tommaso. Il suo corpo è il suo unico strumento per non essere più un “topo”, per arrampicarsi sulla scala sociale.

Se il sesso è glamour, oscar, soldi, l’amore è un calderone di brutte esperienze per Rocco, almeno fino a Rozsa Tassi, attuale moglie di Siffredi: la prima storiella con Sylvie Lanteigne (Jade Pedri) serve per gettare delle fondamenta e per raccontare come il potere del protagonista ha dei risvolti quasi salvifici (e qua si va nell’assurdo, francamente), mentre la relazione con Tina (Linda Caridi) esaspera Rocco come un oggetto, riflettendo quello che inevitabilmente lui sente di se stesso. 

In ogni relazione, Rocco ripudia Tommaso e accetta Lucia: allontana il fratello nella tossicità e accoglie Lucia nell’essere un oggetto degno di sesso ma non di amore.  Questo, almeno, finché sentiamo parlare Lucia davvero dal suo punto di vista e non più filtrata dalle “buone intenzioni” di Rocco o di Tommaso.

Ed è proprio in questa scena del confronto tra Rocco e Lucia che si inizia a intravedere il perché della crisi di Siffredi e della sua imminente pausa, che mette in discussione il sex work a più livelli, indipendentemente dal consenso o dalla scelta. E, forse, sarebbe stato bello approfondire di più questo elemento, che arriva quasi in maniera inaspettata dalla stessa Lucia che anni prima raccontava (ma non ci credeva nemmeno lei) che la prostituzione fosse amore.

Per concludere, la serie è godibile (no pun intended), è intensa quanto basta e, bisogna dirlo, la decisione di trattare la storia con un approccio non documentaristico sull’industria del porno, rende la serie meno prevedibile. Questione da ammirare in una storia biografica come Supersex, che potrebbe aprirsi così ad un’altra stagione.