Mistress America è il nono film del regista e sceneggiatore Noah Baumbach che anche questa volta, come nei precedenti lavori, ci presenta dei personaggi incapaci a crescere e a maturare.
Tracy (Lola Kirke) si trova al primo anno di college, ma percepisce questa esperienza alquanto deludente: non riesce a socializzare come vorrebbe e non si integra nella vita newyorkese. Tutto cambia quando conosce Brooke (Greta Gerwin), trentenne ancora piena di sogni e sua futura sorellastra. Grazie a Brooke, Tracy esce dalla triste monotonia della sua vita e viene catapultata in un mondo superficiale fatto di feste fino all’alba e folli aventure verso il successo.
Le protagoniste di questa commedia fanno parte di due generazioni diverse, ma vicine: da un lato c’è la ventenne Tracy che sogna di diventare scrittrice e conosce poco della vita, dall’altro Brooke che sta per superare i trent’anni, vive in un magazzino adibito a casa, fa mille cose diverse e vorrebbe aprire un ristorante dove i clienti possono anche tagliarsi i capelli. Tracy si affaccia con fatica al mondo mentre Brooke, consapevole che la sua giovinezza sta per finire, prova a cavalcare grottescamente il sogno americano.
In Mistress America tornano quei temi cari al cinema di Baumbach e a moltissime altre commedie americane: la perdita delle illusioni giovanili e quindi la ricerca di un proprio posto nel mondo, il parassitismo economico e intellettuale oltre allo scontro generazionale.
Mistress America è una commedia che lascia indifferente ogni tipo di spettatore, i personaggi non hanno niente di originale, non intraprendono “avventure” particolari e interessanti e sono scritti in maniera approssimativa prendendo spunto tanto da pellicole anni ’90 dello stesso genere quanto dai più molli e scontati teen-drama televisivi.
Se le due protagoniste non hanno appeal, ancora peggio vengono dipinti i personaggi collaterali, tutti totalmente piatti, senza una soto-trama capace di giustificarli, mai divertenti e spesso poco funzionali alla narrazione.
Noah Baumbach non è capace di graffiare, fluttua tra quelle opere indie alla Juno e le pessime pellicole di Apatow senza mai definire concretamente il sapore di Mistress America che quindi rimane insipido, ma non indigesto forse per via del finale furbescamente assente.
Lo scontro generazionale, sul quale punta la prima parte del film si perde in un nulla di fatto nel corso della visione perché Tracy si avvicina sinceramente a Brooke e quest’ultima diventa la sorella maggiore immatura quanto la più piccola, insomma il conflitto si sgretola su se stesso, tutto diventa prevedibile e poco attraente.
L’unico pregio che ha Mistress america è solamente la durata, infatti finisce quando lo spettatore esausto sta per abbandonare la sala sfiancato da una commedia poco originale e che si prende davvero troppo sul serio.