KLIMT (di Raùl Ruiz)
Il film del regista cileno Raùl Ruiz dedicato alla vita di Gustav Klimt è una pellicola difficile da raccontare: può essere presa come prova del suo essere cineasta eccentrico, noto per la sua grande liberta creativa e di espressione, sempre in bilico tra il reale e il fantastico.
“Klimt” ha inizio con gli ultimi giorni di vita dell’artista viennese e procede attraverso flashback e visioni, intrecciando realtà e finzione. È un racconto biografico ma è pur sempre un film e qui, maggiormente che in altre biografie di artisti, si sente molto l’adattamento cinematografico e romanzato, non tanto per la narrazione poetica un po’ teatrale, quanto per il periodo che racconta, incentrato sulla fase centrale e più conosciuta della vita del pittore, periodo in cui nascono le opere più celebri.
L’epoca storico di riferimento è quello del fervore della Secessione viennese, tra ‘800 e ‘900,in una Vienna capitale europea tra le più affascinanti, dove nascono nuovi stili, filoni dell’Art Nouveau tedesca, che hanno come obiettivo il distacco dalla conformità accademica. Il “solito” rifiuto delle regole insomma. Questi climi così febbricitanti, però, che danno luogo a correnti culturali all’avanguardia, sono difficili da ricostruire a maggior ragione se popolati da personalità che non passano inosservate. Il regista contorna la vanità viennese di personaggi dell’epoca troppo importanti per essere solo di passaggio come Auguste Rodin e Egon Schiele amico e pupillo di Klimt: l’indiscusso protagonista (del film e anche dell’epoca).
Il lungometraggio ha dalla sua parte un protagonista d’eccezione: John Malkovich il quale interpreta alla perfezione la personalità esigente ed estrosa dell’artista. Il Klimt di Rùiz è un personaggio immerso nella mondanità, poco attento alle critiche culturali e quasi ossessionato dalla figura femminile, dalla sua carica erotica e sensuale, sempre circondato da modelle o prostitute, con figli sparsi in ogni dove e donne innamorate attorno a lui; così però sembra essere sminuita la grandezza del personaggio, l’innovazione della sua arte e la distinzione stilistica delle sue opere.
È necessario ricordare che Gustav Klimt fu prima di tutto decoratore, amante dell’arte egizia, romana e greca ed è da qui che derivano gli sfondi geometrici, sinuosi, serpentini e contorti dei suoi dipinti. L’oro è conseguenza della sua visita a Ravenna e dell’ammirazione di uno dei mosaici più belli della storia dell’arte medioevale. Nel film tutto ciò non è intuibile minimamente e tantomeno comprensibile, neanche all’osservatore più attento e amante dell’arte. È come se lo snodo centrale siano solo le donne: la sua passione/ossessione. Corpi femminili onnipresenti nella vita e nella mente, costanti visioni, ricordi, rimandi tanto vicini quanto irraggiungibili.
Gustav Klimt non fu solo questo, i suoi dipinti hanno chiaramente protagoniste femminili, modelle o talvolta prostitute, ma esse appaiono nelle opere come tramiti, simboli ed allegorie. Nel film sono piuttosto giovani donne belle, dai tratti delicati che sembrano essere modello solo di opere come “Danae” o “Girlfriends”; in realtà queste muse, quando non sono ritratti, sono simboli o allegorie, talvolta con tratti decadenti e marcati, con trucchi pesanti e gote rosse, con corpi eccessivamente realistici. Le immagini che ne derivano sono donne a volte tutt’altro che avvenenti, perché simboli decadenti del tempo che passa o della morte.
La realtà di Klimt, carica di eventi politici culturali e intimi, forma la sua anima fino a dar vita al trionfo della sua arte; le vicende che lo attraversano e che lo colpiscono si ritrovano tramutati in un nuovo stile nei suoi dipinti, dai più giovanili, fino al superamento del periodo Aureo. Queste connessioni, tuttavia, nel film sono solo miraggi. Nella pellicola è come se venissero considerate solo le lussuriose bellezze attraverso il tema della femmes fatales, tanto in voga durante il periodo della secessione, ma non si può certo ridurre il tutto all’erotismo femminile, perché le sue donne furono ben altro.
È risaputo che il pittore viennese fu un personaggio emblematico, di conseguenza raccontarlo in un film biografico non è comunque semplice, soprattutto se a farsi carico della sua biografia è un regista di nicchia dalla difficile comprensione ma dal talento inusitato.
Il cineasta tuttavia ha, oltre all’attore protagonista, un altro asso nella manica: Giuditta. L’opera più conosciuta di Klimt aleggia nella pellicola impersonata dall’amica dell’artista: Giuditta/Adele Bloch-Bauer (esponente dell’alta società viennese e volto dell’opera). Nella pellicola di Rùiz, questa donna epica vive attraverso colei che ispirò il pittore, non si vedono i dipinti ma la si vede nel lungometraggio come una visione, talvolta in inquadrature davvero emozionanti quasi equivalenti ai quadri che la ritraggono.
La fine del lungometraggio gratifica lo spettatore lasciando le parole alla poesia abilmente interpretata da Malkovich/Klimt che sembra essere una trasposizione della vocazione dell’artista, ma anche dello stesso regista:
“Chi sei tu? Mi chiese la guardiana della notte ” Sono nato da puro cristallo”- fu la mia risposta. E’ grande la mia sete – Persefone – eppure ascolto il tuo giudizio, mi libro in volo e giro e giro ancora e sempre a destra. Detesto lo smorto cipresso, non cerco rifugio nella sua silvestre primavera ma mi affretto verso il mormorante fiume Mèmosine, dove mi abbevero fino a dissetarmi. E là, immergendo i palmi tra grovigli e cerchi d’acqua sull’intricato percorso rivedo in quei sogni in cui mi sembra di affogare, le più strane immagini che io abbia mai visto e misteriose visioni che nessun uomo ha visto mai!”
Chi non ha mai avuto l’emozione di vedere Klimt dal vivo, potrà farlo nei mesi prossimi (da ottobre 2013 a febbraio 2014) nel contesto della mostra “La Grande Magia” al Mambo di Bologna; altrimenti alla GNAM di Roma è possibile vedere “Le tre età della donna”, e a Venezia alla Ca’ Pesaro viene custodita preziosamente “Giuditta II” (Salomè).
Valentina Terribile