Dialoghi, dialoghi, dialoghi. Non è semplice far sì che un film incentrato (quasi) interamente sui dialoghi possa funzionare sul grande schermo. O, meglio ancora, per far sì che ciò accada, c’è bisogno di una sceneggiatura di ferro, che soltanto in pochi sono (o sono stati) in grado di realizzare. Uno di questo è indubbiamente Éric Rohmer, al secolo Jean Marie Maurice Schérer, una delle colonne portanti della mitica Nouvelle Vague francese, che con il suo focalizzarsi sulle emozioni degli esseri umani, sui loro sentimenti e sui complessi rapporti interpersonali ha dato vita a un modo di intendere la settima arte che ha successivamente fatto scuola in tutto il mondo. In tal senso, dunque, Pauline alla Spiaggia, realizzato nel 1983, è un lungometraggio particolarmente emblematico per quanto riguarda il suo modo di fare cinema. Vediamo da vicino perché.
Presentato in concorso al Festival di Berlino, dove si è aggiudicato l’Orso d’Argento alla Miglior Regia, Pauline alla Spiaggia è la fotografia nitida e sbiadita allo stesso tempo di un’estate di centrale importanza per ognuno dei protagonisti. Di un’estate destinata a insegnare parecchio alla giovane Pauline (impersonata da Amanda Langlet). Di un’estate che, sotto molti versi, sta chiaramente a sancire il passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Facente parte del ciclo Commedie e Proverbi, Pauline alla Spiaggia, dunque, mette in scena le vicende della quindicenne Pauline, appunto, la quale si reca in Normandia insieme a sua cugina maggiore Marion (Arielle Dombasle), al fine di trascorrere lì gli ultimi giorni di vacanza. Marion è bella e disinibita, ha già un matrimonio fallito alle spalle e non ha mai smesso di sperare di trovare il vero amore. Questi potrebbe forse avere le sembianze di Pierre (Pascal Greggory), una sua vecchia fiamma che ora lavora come istruttore di windsurf, o anche di Henri (Féodor Atkine), affascinante etnologo presentatole proprio da Pierre, anch’egli divorziato e con una bambina al seguito. Pauline, dal canto suo, si sente ancora troppo giovane per l’amore e preferisce stare a osservare ciò che le accade intorno. Eppure, l’incontro con il suo coetaneo Sylvain (Simon de la Brosse) potrebbe iniziare a farle cambiare idea.
Con una forte impostazione teatrale, con la splendida Normandia e Mont Saint Michel a fare da scenografia ideale, Pauline alla Spiaggia è una commedia fresca e leggiadra, che, tuttavia, proprio grazie al continuo dialogare tra i personaggi, si rivela ben più profonda e complessa di quanto inizialmente potesse sembrare. Grande conoscitore dell’animo umano qual era, Éric Rohmer, dal canto suo, ha saputo rendere alla perfezione percezioni e sentimenti dei protagonisti, mostrandoci, ogni volta, con la sua macchina da presa, più che altro le loro reazioni e le loro più sottili espressioni durante le conversazioni.
I rapporti interpersonali sono notoriamente complessi. Eppure Rohmer sembra conoscere molto bene ogni segreto dell’animo umano, dimostrandosi sicuro di sé nel mettere in scena le storie dei protagonisti. Già, perché, di fatto, Pauline alla Spiaggia, come si potrebbe pensare dal titolo, non ha soltanto una protagonista, bensì, nel mostrarci di volta in volta la realtà attraverso diversi punti di vista, può facilmente classificarsi come un delicato, raffinato e poetico film corale, all’interno del quale non mancano inaspettati twist. L’estate sta per volgere al termine, e con lei anche l’infanzia. Un’agrodolce malinconia fa da costante leit motiv. Pauline sembra aver imparato molto in questi ultimi giorni di vacanza. E nel salutare per sempre il suo essere bambina, sembra finalmente pronta ad affrontare la sempre complessa e a volte dolorosa e impietosa età adulta.