La schiena possente di un corpo statuario. Il volto emaciato di un bambino che massaggia l’uomo. La dedizione a un rito meccanico, ripetuto chissà quante volte per salire sul ring. Prima il silenzio condiviso da due individui, poi le urla e i grugniti collettivi di un incontro di boxe. Come il cavaliere con lo scudiero, un pugile difende il proprio aiutante e sacrifica la vittoria in nome del rispetto per i deboli. Inizia in medias res A Prayer Before Dawn, pellicola di Jean-Stéphane Sauvaire ispirata alla vera storia di Billy Moore (Joe Cole), il boxeur inglese rinchiuso per tre anni in un penitenziario di massima sicurezza a Bangkok.

Meglio trattenere il respiro più volte perché il regista di Johnny Mad Dog affonda la cinepresa in un inferno di sbarre e reti arrugginite, dove il protagonista è costretto a vivere dopo l’accusa di spaccio di Ya’ba, un derivato della metanfetamina che crea una pericolosa assuefazione. Sauvaire riesce a stritolare lo spettatore con una mano, mentre con l’altra si tiene ben saldo a Billy e ne segue ogni passo, ogni ansimo e ogni pugno sferrato. A Prayer Before Dawn è l’odissea di uno straniero in terra straniera, in una prigione che parla una lingua sconosciuta e che limita quindi la comprensione di regole e codici.

I lunghi piani-sequenza, minuziosamente tagliati, mostrano il grave stato di abbandono dei condannati, ammassati come bestie sul pavimento e pronti ad accanirsi l’uno contro l’altro per futili motivi. Se Cole ingloba visceralmente la tossicodipendenza e i conflitti interiori di Billy, regalando una brillante performance, la scelta di attori non professionisti amplifica la sensazione di totale immersione nell’opera. Le smorfie, le ferite e le gocce di sudore hanno la forza di un mare in tempesta che si agita come l’animo in collera del protagonista, ossessionato dal desiderio di rivalsa e di libertà, raggiungibili esclusivamente con il duro allenamento e con le sfide di muay thai.

A Prayer Before Dawn è un puro racconto per immagini sostenuto da un tono documentaristico, da un ritmo omogeneo e da uno sguardo brutale, ma sincero. La sceneggiatura, ridotta all’osso, consente agli interpreti di “vivere” o di “subire” gli eventi, lasciando ampi margini di autonomia alla recitazione. Non trattandosi del primo prison movie d’azione, è facile rintracciare alcune somiglianze con Fuga di Mezzanotte di Alan Parker o con Il Profeta di Jacques Audiard. Ma la storia di Billy è identica, forse, solo a quel rumore di fondo che echeggia all’inizio e alla fine del film, una nota universalmente riconosciuta di solitudine e malinconia.