Dopo aver avvertito gli spasmi di una passeggera incinta, l’assistente di volo Lin (Maria Kraakman) chiede aiuto ai colleghi, ma è costretta a fare tutto da sola perché l’equipaggio non è preparato a fronteggiare un parto ad alta quota. Sebbene i primi minuti di In Blue lasciano presupporre una pellicola coraggiosa, imprevedibile e dal ritmo ben dosato, il dramma romantico di Jaap van Heusden è tutt’altro che incisivo.
Se da una parte il lavoro di hostess permette alla protagonista di viaggiare, dall’altra le impedisce di mettere radici, una condizione di instabilità rappresentata con efficacia dalla sequenza di un fugace rapporto sessuale, consumato più per necessità fisiologica che per passione. Il regista sembra talmente freddo e distaccato nei confronti della donna da non riuscire a far luce sulle motivazioni che la spingono a conoscere meglio Nicu (Bogdan Iancu), un ragazzo di strada incontrato per caso nel cuore di Bucarest.
In Blue, titolo che fa riferimento al colore della divisa di Lin, ruota attorno all’incontro di due mondi agli antipodi. Quello candido della hostess olandese di origini borghesi contro quello degradato di un vagabondo dell’Est che risale dal sottosuolo per drogarsi e per prostituirsi in cambio di soldi. La sceneggiatura, curata dal regista e da Jan-Willem den Bok, racconta con superficialità il rapporto tra Lin e la madre, alternandolo a quello di Nicu e i suoi affetti, mentre la relazione tra la donna e il ragazzo procede in un crescendo di azioni che la rendono poco credibile.
Incastrate in un collage di snodi artificiosi e forzature patinate al limite del facile moralismo, le interpretazioni della Kraakman e di Iancu sono monocorde, strozzate soprattutto da una scrittura piatta, svogliata e priva di ritmo. Non è difficile intravedere la nobiltà delle intenzioni di partenza e la confidenza tecnica di van Heusden, ma il risultato di questa co-produzione europea, che vorrebbe denunciare l’incomunicabilità degli estremi, è un fallimento senza mezzi termini.