Napoli è come una madre premurosa che ama incondizionatamente i propri figli, ma all’occorrenza si rivela spietata e letale con la sua stessa carne. È questo il sunto del doloroso sfogo di Adele (Anna Bonaiuto) in Napoli Recensione Napoli VelataVelata, l’opera diretta da Ferzan Özpetek che ha come protagonista Adriana (Giovanna Mezzogiorno), un medico legale dal passato (e presente) ambiguo.

Accanto a lei il giovane Andrea (Alessandro Borghi), con cui la donna si lascia andare a una notte di passione dopo averlo conosciuto per caso durante una festa. Gli equilibri di Adriana vengono ben presto stravolti da un’inquietante scoperta che la mette al centro di una complicata indagine.

Fin dalla prima sequenza Özpetek mostra la predilezione per l’atmosfera rarefatta del thriller d’antan e omaggia la cifra stilistica di Alfred Hitchcock, per poi spostarsi ai gialli anni settanta di Dario Argento e dintorni. Ma Adriana non è la donna che visse due volte.

La sensazione iniziale di vertigine, che culmina con lo sguardo innocente di chi è stato testimone di un trauma, si spegne paradossalmente quando la protagonista inizia a vedere “due volte”.

In Napoli Velata il tema del doppio viene riproposto con pressapochismo, tanto quanto basta per generare un’ostentazione di contenuti che sottrae forza al racconto dell’arcano. Non bastano i chiaroscuri di una città sospesa tra razionalità e superstizione a sorreggere il velo che solo in apparenza occulta la verità. Pur traslandolo nei labirinti del capoluogo campano, Özpetek non riesce a dare credibilità al viaggio interiore di un personaggio al limite dell’apatia, separato dalla realtà per ovvie scelte personali, ma al contempo bisognoso di sesso e di amore.

Rispetto al resto del cast le interpretazioni della Mezzogiorno e di Borghi sono palesemente sottotono, vittime di alcune forzature che scandiscono la sceneggiatura curata dal regista, da Gianni Romoli e da Valia Santella, autori di meccanismi che rivelano una scrittura artificiosa.

Tra melodramma e noir, gemelli speculari e allucinazioni (poco) perverse, Özpetek cerca di delineare forme sinuose, ma rimane incastrato in un “tessuto” disorganico. Ironizzando sul proprio status di telenovela dall’intreccio discutibile (e incompiuto), Napoli Velata si risveglia dal torpore quando la musica incontra il cuore pulsante di una comunità indecifrabile.