Votato dalla BBC come Miglior Film del XXI secolo nel 2016, Mulholland Drive, realizzato nel 2001, è quello che potrebbe essere definito uno dei film più importanti (se non, addirittura, il più importante) del regista statunitense David Lynch.
Qui, infatti, sono presenti praticamente tutte le tematiche care all’autore di Missoula.

Tematiche quali l’onirico, le paure insite in ognuno di noi, ma anche una straziante e appassionata storia d’amore dalle venature del thriller e, non per ultima, una dichiarazione d’amore al cinema stesso, che già avevamo ritrovato, giusto per fare qualche esempio, in Eraserhead – La Mente che cancella (1977), Cuore selvaggio (1990), Strade perdute (1997).

In Mulholland Drive, dunque, il regista ha attinto a piene mani da quanto egli stesso ha realizzato in passato, ma anche, al contempo, da quanto è stato realizzato nel resto del mondo in poco più di un secolo di storia del cinema.

Così, dunque, la storia di Rita (impersonata da Laura Harring), una giovane donna che ha perso la memoria in seguito a un incidente avvenuto proprio su Mulholland Drive, nei pressi di Hollywood, e di Betty (Naomi Watts), un’aspirante attrice che ospiterà Rita proprio a casa di sua zia, ha preso magicamente vita sul grande schermo, rivelandosi, man mano che si va avanti con la messa in scena, proprio “quello che non ci aspettiamo”.
Senza paura di esagerazione alcuna.

Già, perché, di fatto, durante la visione di Mulholland Drive, ogni nostra certezza (o, sarebbe meglio dire, ogni convinzione che ci eravamo fatti in merito) viene costantemente stravolta, totalmente ribaltata, al punto da non farci quasi più comprendere dove finisca la realtà e dove inizino il sogno e l’illusione.

E così, belle, bellissime, fisicamente quasi l’una l’opposto dell’altra, Rita e Betty si sdoppieranno, riveleranno nuove identità, si innamoreranno, addirittura si “sovrapporranno”, per soluzioni visivo/narrative di bergmaniana memoria.

Le due protagoniste diverranno, dunque, ben presto Camilla (vero nome di Rita) e Diane (vera identità di Betty). A questo punto, però, l’illusione e l’onirico avranno già preso il sopravvento. O lo avevano già fatto prima che noi stessi potessimo accorgercene? Le immagini – magnetiche e, allo stesso tempo, fortemente disturbanti – mostrateci da David Lynch (come, d’altronde, già è stato per molti dei suoi precedenti lungometraggi) hanno tutto il sapore di realtà sospese nel tempo, in una sorta di limbo a metà strada tra immaginario e reale.

Eppure, al contempo, Mulholland Drive non è solo questo. Mulholland Drive è anche (e soprattutto?) un raffinato thriller, il ritratto spietato di Hollywood, un costante, sottile giocare con la macchina da presa e con le percezioni dello spettatore stesso.

Qualcuno, in passato, ha addirittura affermato che il presente lungometraggio sia sorprendentemente in grado di cambiare forma ogni qualvolta lo si visioni. Come dargli torto? E, soprattutto, come ha fatto il buon David Lynch a ottenere questo effetto? Soltanto una grande maestria – oltre, naturalmente, a un’ottima conoscenza del mezzo cinematografico, della storia del cinema e, non per ultima, della stessa psiche umana – potrebbe realizzare ciò. Ma non sempre la cosa è così scontata.