I fratelli D’Innocenzo (Fabio e Damiano) vengono considerati dei poeti neorealisti contemporanei, le nuove promesse del cinema italiano. Questi due gemelli poliedrici spaziano tra la scrittura, la fotografia e la settima arte.
Tanto rumore per nulla? Ripercorriamo insieme la loro carriera.

Da Tor Bella Monaca passando per Berlino fino ad arrivare in America Latina

I fratelli D’Innocenzo sono nati alla fine degli anni ’80 a Tor Bella Monaca, quartiere periferico romano che deve la sua fama alla criminalità, non di certo alla dolce vita. Figli di un pescatore, hanno trascorso la loro infanzia seguendo gli spostamenti del padre nel Lazio.
Lui amava scrivere sceneggiature; la madre poesie. L’arte scorre nel loro sangue, indubbiamente. Ma prima di approdare al mondo del cinema, si sono guadagnati da vivere con i lavori più disparati. Sono autodidatti, non hanno alcuna formazione accademica. E’ stata la scuola della vita a dare loro l’ispirazione per le storie che hanno iniziato a scrivere sin da giovanissimi.

Nel corso degli anni, i fratelli D’Innocenzo hanno abbandonato soltanto il disegno (almeno finora) e hanno all’attivo tre lungometraggi, una raccolta di poesie (Mia madre è un’arma, edita da La nave di Teseo) e un libro fotografico (Farmacia Notturna, pubblicato con Contrasto).
Hanno iniziato scrivendo sceneggiature come ghostwriters e, poco più che ventenni, hanno cominciato a lavorare nel mondo del cinema.

In un’intervista a La Stampa, Fabio d’Innocenzo ha raccontato: «Mimmo Calopresti, Alex Infascelli, Daniele Luchetti e Massimo Gaudioso si erano interessati a quello che scrivevamo, e cercavano di darci dei consigli. E ci avevano anche chiesto di collaborare con loro. E quindi, ecco, abbiamo cominciato a lavorare insieme a belle persone che facevano un bel cinema».

Ma è grazie a Matteo Garrone che c’è stata la svolta nella loro carriera.
Si conobbero per caso in un ristorante a Roma e i due gemelli riuscirono a entrare nelle simpatie del regista. Matteo Garrone, dopo quella cena, li invitò a casa sua per un incontro. I fratelli colsero al volo quella chance e, pieni di speranza, gli portarono la sceneggiatura del loro primo film La terra dell’abbastanza.

In realtà, Matteo Garrone non lesse mai quel copione. Però, dieci giorni dopo dal loro primo incontro, chiamò i fratelli d’Innocenzo chiedendogli di sceneggiare insieme a lui Dogman. E fu così che i gemelli laziali iniziarono a scrivere anche un nuovo capitolo della loro vita.
«Quando si è sparsa la voce che stavamo lavorando con lui» rivela Damiano a La Stampa «sono stati i produttori a chiamarci. Si è completamente ribaltata la prospettiva».

Finalmente era finita l’epoca in cui i due gemelli sacrificavano i soldi dell’affitto o della spesa per pagarsi le stampe dei copioni da proporre ai produttori. Era giunto il momento di realizzare il loro primo film. E avevano già le idee chiare su cosa raccontare e come.
I fratelli d’Innocenzo riescono a rendere visibile l’invisibile, sin dal loro esordio dietro la macchina da presa.

L’esordio dei fratelli D’Innocenzo: La terra dell’abbastanza

Nel 2018 suscitano l’interesse di pubblico e critica con il loro primo lungometraggio La terra dell’abbastanza.
Viene presentarlo nella sezione Panorama della 68ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino e il film ottiene numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, tra cui miglior opera prima e migliori registi esordienti ai Nastri d’argento 2018.

La coppia di autori ci mostra la banalità del male.
La storia è cupa e coraggiosa, al centro del racconto ci sono le scelte sbagliate che portano sempre alla tragedia. Il film, seppure imperfetto e acerbo, mette in luce il talento dei gemelli.
Si accendono i riflettori sulla vita in periferia; vita che i due registi conoscono bene e che hanno saputo raccontare con uno stile del tutto personale.
L’uso della macchina a mano, l’insistenza sui dettagli e sui primi piani dei personaggi e la profondità di campo ridotta al minimo in quasi tutte le scene, rendono la fotografia del film appannata.

Nella nebbia del mondo che li circonda, spuntano solo i protagonisti di questa storia drammatica. Manolo e Mirko sono due giovani amici che vivono nella periferia di Roma. Una notte investono un uomo e, invece di soccorrerlo, decidono di scappare. L’uomo che uccidono è il pentito di un clan criminale di zona.
Così, l’omicidio si trasforma in occasione: ai ragazzi viene offerta la possibilità di entrare a far parte del clan. “Avemo svortato!” si ripetono Manolo e Mirko in questa fiaba dark, come la definiscono i D’Innocenzo.

Come riferimenti letterari i due autori citano Le città invisibili di Italo Calvino e La torta in cielo di Gianni Rodari, ma il loro film è un pugno allo stomaco. Un racconto nudo e crudo che mette a disagio lo spettatore.
Decisamente un esordio folgorante e notevole per i fratelli D’Innocenzo che, nel loro secondo film, Favolacce decidono di passare dalla periferia alla provincia.

Favolacce: la consacrazione dei D’Innocenzo

Un film grottesco che racconta degli uomini qualunque in un’estate qualunque.
Al centro della storia c’è una famiglia composta da Bruno (lo strepitoso Elio Germano), Dalia (Barbara Chichiarelli) e i loro figli dodicenni. Una famiglia come tante, che però nasconde nell’apparente normalità, l’infelicità e l’irrequietezza.
I ragazzi, nonostante siano dei buoni studenti, si sentono soli e infelici. Non sono altro che vittime della passività colpevole dei genitori; si sentono incastrati in una vita che non gli appartiene. Una vita che gli adulti hanno scelto per loro.

I fratelli d’Innocenzo si sono aggiudicati l’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino 2020. Merito , probabilmente, anche dei dialoghi espliciti e scomodi in dialetto romano, che colpiscono lo spettatore.

La crudezza e la violenza del racconto, a tratti anche disturbanti, donano al film un aspetto nero che resta impresso nella memoria di chi lo guarda.
La regia del secondo film dei gemelli laziali è fatta di movimenti sinuosi; la fotografia (di Paolo Carnera) è ricercata ed enfatizza la mediocrità della famiglia medio borghese di provincia. La crescita dei due registi è evidente. Hanno saputo raccontare una storia che è un po’ favole e un po’ parolacce, mantenendo uno stile raffinato e ambizioso.

C’è Lynch, c’è Garrone, c’è Pasolini in Favolacce. Ma ci sono soprattutto loro, i fratelli D’Innocenzo che con il loro realismo riescono a raccontare delle favole…che tanto favole non sono.
Una nota di merito a Elio Germano che mostra, per l’ennesima volta, il suo grande talento. L’attore è il protagonista anche del terzo film dei fratelli laziali: America Latina

I fratelli D’Innocenzo in concorso a Venezia 78 con America Latina

<<Una storia d’amore, e come tutte le storie d’amore quindi un thriller>> queste le parole dei registi riguardo alla loro terza pellicola.
Il film è in concorso alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia ed è prodotto da Lorenzo Mieli per The Apartment, società del gruppo Fremantle, Vision Distribution e Le Pacte.
Al momento non ci sono informazioni sulla trama, ma quando si tratta dei fratelli D’Innocenzo noi spettatori siamo abituati alle sorprese e alle storie forti.
La fortuna premia gli audaci e, sicuramente i gemelli laziali sanno osare.